Va e non voltarti
Ho conosciuto Pasquale Cavalera grazie ad alcuni racconti, scritti su una piattaforma per scrittori che si confrontano sul loro lavoro. Ci siamo piaciuti, abbiamo chiacchierato, ci siamo scambiati i rispettivi libri. Insomma, per farla breve, lui mi ha spedito il suo ultimo lavoro “Sulla pelle la speranza”. Il libro era stato affidato ad un pacchetto che ha cominciato a viaggiare, arenandosi un po’ qui, un po’ là, passando di mano in mano. Ad un certo punto qualcuno deve averlo fatto cascare, che so io, sotto una scrivania ed è finito insieme a pacchi che andavano da tutt’altra parte. Così ha ripreso il volo per finire in un altro ufficio postale. Qui qualcuno deve aver notato che il nome della città del destinatario ci assomigliava ma non era proprio quella in cui si trovava il pacchetto smarrito… Alla fine, dopo lunghe peripezie, aver incontrato Circe ed i Ciclopi, ecco che finalmente il pacchetto arriva a casa mia. E’ un po’ stanco ma ha sempre il suo bel carico di entusiasmo.
Comincio a leggere i racconti, sono tutti brevi, e Pasquale mi dice “usali per riempire spazi che sennò resterebbero vuoti”. Bello, dico io, lo farò. Qualche racconto mi fa tenerezza, altri mi fanno ridere, altri suscitano domande importanti e molto profonde, come questo. Vi invito a leggerlo e poi a dirmi cosa ne pensate.
Se volete saperne di più su Pasquale ed i suoi libri potete visitare il suo sito
Vai e non voltarti
«L’ho sentito in televisione, ho riflettuto tutto il tempo necessario e per me è una grande verità. Peccato non averci pensato prima!».
«Ma dici sul serio? Ma ti senti? Ma non ti vergogni neanche un po’?».
«Ascoltami, ti prego. Da più di cinquant’anni scienziati, studiosi, ricercatori, programmi tv, spingono in un’unica direzione. E ti giuro, mese dopo mese, sono sempre più certo di quello che vado affermando».
«Per me, tu, sei pazzo. Da legare. Forte, fortissimo, mani e piedi. Ti cucirei anche la bocca. Mi andrebbe bene sentirti dire che sei ateo, ancora meglio sapere che professi una fede differente dalla mia. Ma sentirti dire che ci hanno creato gli alieni, non solo, che sarebbero loro a comandarci, mi sembra un concetto bassissimo, privo di ogni fondamento teologico».
«Fidati che è così, cazzo! Ci sorvegliano, ci obbligano a seguire i loro ordini manipolandoci. E quando attuiamo qualche forma di ribellione, è proprio allora che ci opprimono per mano di dittatori oppure manifestandosi sotto forma di icone sacre. Ma sono sempre loro, gli alieni, i nostri dominatori. Dio è una loro magistrale invenzione per distruggere la nostra autodeterminazione».
«Vuoi un consiglio spassionato da amico sincero? Ogni tanto spegni quel maledetto televisore ed esci a fare una passeggiata al parco. Fidati, è molto più ricreativo. Perlomeno non invadi la tua mente con stupide porcherie».
Credeva negli alieni Antonio, per anni ha professato con passione la sua dottrina a chiunque incontrasse per strada. Mio ex compagno di corso alla Facoltà di Giurisprudenza, ex collega in tribunale, ex cognato nella vita privata, mio invincibile avversario nel gioco degli scacchi.
«Antonio, posso farti una domanda intima?».
«Certo vecchio mio, non ti fare problemi, chiedi pure».
«Credi ancora alla tua età nell’esistenza degli alieni, che dalle profondità degli abissi sono in grado di governare telepaticamente le nostre vite?».
«Ovvio! Perché riprendi ancora questo discorso? Da quale cilindro della tua memoria è spuntato fuori? Sai benissimo che sono affezionato a queste mie convinzioni e non ho voglia di litigare proprio oggi, in questa meravigliosa giornata in cui l’unico mio pensiero è quello di festeggiare al meglio i tuoi settant’anni».
«Non ci rimanere male Antonio, ma ho una questione in sospeso che vorrei affrontare con te da oltre un anno, scusami, ma è importante».
«Ok ok, non ti agitare, va bene. Credo ancora e più che mai fermamente negli alieni come nostri creatori. Perché?».
«Perché? Te lo spiego subito, ascoltami bene. Quando sei da solo in bagno, seduto alle sei del mattino sulla tazza, rilassato, con un’intera giornata di sole che si spalanca davanti ai tuoi occhi, a chi rivolgi la tua preghiera per chiedere la guarigione dal tumore che ti sta dilaniando il fegato?».
Rimase in silenzio Antonio, per lunghi interminabili secondi. Poi chinò il capo in avanti, sorreggendolo dolcemente con entrambe le mani. Le dita affondarono nei suoi grigi capelli morbidi come seta. Infine abbandonò il cranio sul palmo della mano sinistra e cominciò a guardarmi in obliquo, come se le mie parole lo avessero pugnalato alle spalle. I suoi occhi lentamente diventarono piccoli e lucidi, velati da una malcelata tristezza oramai chiaramente dichiarata. Si alzò con calma serafica, afferrò con gesto rabbioso il bastone e si avviò verso la cancellata del giardino. Non rispose alla mia domanda, non si girò per salutarmi, non lo rividi mai più.