Riflessi di Oceano – Capitolo 3
Capitolo 3
Lasciata la capitale per iniziare la prima crociera, l’entusiasmo si mescola alla paura dell’ignoto. Non ho esperienza di cosa mi aspetti veramente in questa avventura in cui mi sono lanciata, e sento la tensione tutta nella pancia.
Malè è alle spalle, con le sue costruzioni di cemento. Il blu ci avvolge come una grande conchiglia, cambiando sfumatura in base al luogo e all’ora del giorno, simile alla madreperla. La traversata tra l’atollo di Malè Nord e quello di Malè Sud è breve. La barca procede a sette nodi senza variazioni. Gli ospiti dormono stesi al sole sul ponte, cercando di recuperare la stanchezza del lungo viaggio. Qualcuno guarda la mappa insieme a Stefano per capire dove andiamo. Io guardo il blu. Ho sempre sofferto di mal di mare! Nelle traversate tra la Sardegna e il continente, bastava poco perché la nausea sopraggiungesse, e nelle mie prime uscite sub in gommone vomitavo spesso. Eppure sono qui, mi chiedo senza ancora crederci.
Dopo poco più di un’ora, entriamo nell’atollo di Malè Sud attraverso la pass di Embudu. L’atollo è come un grande catino pieno d’acqua, profondo circa 30 metri. Secondo la teoria di Darwin, si è formato intorno a un vulcano che è poi sprofondato, lasciando solo l’anello di corallo vicino alla superficie. Per la prima volta vedo le gradazioni di blu che questo mare regala con tanta generosità. I reef arrivano quasi alla superficie e assumono un colore tra il verde e l’azzurro, mentre il mare intorno è di una tonalità acquamarina trasparente come un cristallo naturale. Qualche increspatura sulla superficie rivela il flusso di corrente che consente la vita ai polipi corallini, piccoli animali in grado di costruire queste montagne di corallo che imparerò ad amare.
Il capitano guarda con attenzione la rotta e naviga dove l’acqua è più scura. Ci sono molte piccole secche e lagune con sabbia bianca che rendono la navigazione insidiosa, richiedendo molta attenzione ed esperienza. Il mare piatto fa da specchio. Dove la navigazione è sicura, il fondale assume toni cobalto sempre più scuri fino al blu notte e al nero. Guardiamo quei colori per orientarci, per proteggere la barca e per trovare i punti in cui la fauna marina si addensa e vale la pena immergersi. Il blu ci guida e ci indica la direzione da seguire. È in mezzo al blu che impariamo chi siamo e perché.
Ricordo ogni prima volta alle Maldive: la prima volta che ho mangiato il pesce secco col cocco, la prima volta che il profumo del curry mi ha fatto tossire, la prima volta che ho fatto l’amore, la prima volta che mi sono ferita, la prima volta che ho sbagliato alla grande, la prima volta che ho visto uno squalo balena, quella in cui ho incontrato uno squalo martello, e quella in cui mi sono trovata faccia a faccia con una cernia gigante. La mia prima immersione subacquea alle Maldive, però, è sparita nella mente tanto era il carico di aspettative e di emozioni. L’unica traccia di quel giorno è la consapevolezza che fare la guida subacquea è un lavoro che richiede tante capacità e competenze umane e professionali. Ero solo all’inizio della salita.
L’equipaggio è composto di soli uomini: il capitano e cinque membri sulla Wattaru e due sul dhoani. Gli uomini lavorano; le donne rimangono sulle isole, si sposano giovani e si occupano dei bambini e degli anziani. Alcune ragazze che hanno fatto le scuole superiori lavorano nelle banche, nelle compagnie aeree e negli uffici delle società, ma sono ancora poche. Sia perché non sono molte quelle che sono andate a scuola, sia perché le scuole superiori sono disponibili solo nella capitale e quindi limitate alle famiglie con più disponibilità, ovvero pochissime. Il tasso di analfabetismo è ancora molto alto agli inizi degli anni novanta. È stato il presidente Maumoon Abdul Gayum a introdurre la scuola dell’obbligo e a far costruire le scuole primarie in tutte le isole abitate, ma per frequentare le scuole superiori bisognava andare a Malè e per fare l’università occorreva poter andare all’estero.
I tanti ragazzi che non proseguono gli studi trovano impiego sulle barche da pesca o, se conoscono l’inglese, nel turismo. Se nessuno li assume, pescano da una barchetta e poi vendono il pesce. Se la famiglia non possiede nemmeno una barchetta, pescano da terra. Insomma, di fame non muoiono, ma certo le opportunità per loro si riducono.
Il nostro equipaggio è composto di ragazzi molto giovani, tra i sedici e i vent’anni, a parte il capitano Shareef che ha un’età imprecisata intorno ai quaranta. La madre non si ricordava quando era nato esattamente, ma solo all’incirca, e aveva dichiarato un giorno a caso per i documenti. Quindi la sua vera età sfuggiva alle regole della matematica. Non è una storia buffa, nonostante ci facesse ridere ogni volta che la raccontava, era proprio così. A bordo, il capitano è colui che impartisce gli ordini ma anche colui che ascolta, capisce e insegna. E Shareef era molto bravo in tutte queste competenze. I marinai obbediscono con rispetto sia a lui che a Stefano, il bodu mia, il capo straniero. Invece, io sono solo l’ultima arrivata, la fidanzata di turno, donna, minuta, carina e giovane, tutti elementi a mio sfavore. Mi dovrò conquistare la fiducia sul campo e dimostrare ogni giorno di essere all’altezza del ruolo. Ci vorranno anni, arrabbiature e pianti in cabina da sola, per ottenere l’autorevolezza necessaria a essere ascoltata.
Cerco di compensare l’inesperienza con l’empatia e l’attenzione. Nessuno di loro parla un buon inglese, quindi le comunicazioni sono complicate. Per lo più devo mostrare facendo tutto quello che chiedo loro di fare, altrimenti non capiscono o fingono di non capire.
“How do you say table cloth?” chiedo mentre stendo la tovaglia sul tavolo.
“Mesu foti.”
“Mesu is table?” La stessa parola che si usa in sardo, una strana coincidenza ma ho un appiglio di traduzione.
“Aha, yes.”
“E se mesu è tavolo, foti è tovaglia? To-va-glia is the Italian word for this.”
Mostro la tovaglia e ripeto “to-va-glia.” Così ogni giorno imparo una parola di dhivehi e loro una in italiano. In una lingua esperanta, provo a spiegare come si apparecchia, come si serve a tavola o come si cucinano gli spaghetti. Tutta la cucina maldiviana è costituita da ingredienti cotti dentro salse speziate a base di curry e latte di cocco, accompagnati col riso basmati lesso: pesce al curry con riso, patate e cipolle al curry con riso, pollo al curry con riso, e così via. Questo a colazione, pranzo e cena. Il curry è una miscela di spezie, in cui dominano curcuma, peperoncino, cannella, zenzero e cardamomo, e ogni madre di famiglia che si rispetti trasmette la sua particolare ricetta alla progenie femminile. Non hanno una grande varietà in cucina perché, oltre al pesce e al cocco, ci sono pochissimi altri alimenti. Quindi spiegare al cuoco che ogni giorno deve cucinare un piatto diverso non è proprio immediato. Mi ci sono voluti mesi per arrivare al livello che volevo, ma in quella prima settimana mi sono concentrata su spaghetti aglio e olio e peperoncino e ragù di pesce appena pescato. La pasta arriva con i cargo grazie alla richiesta turistica, mentre il resto è locale.
Ahmadu è il più giovane marinaio della Wattaru, ha sedici anni e il suo compito sono le pulizie. Ha smesso di andare a scuola presto e ha lavorato sulle barche da pesca prima di arrivare qui. Sorride sempre, fa del suo meglio per parlare inglese e imparare il mestiere. Dice che pulire la barca gli piace e che non è troppo difficile.
“Ahmadu, come, I show how to clean the windows.”
“Koacheeh?”
“Eh cosa, vieni che ti mostro. Devi pulire bene il vetro e non devono restare aloni. Understand?”
“Yes, sure!”
“Okay, vado a fare immersione. Tu finisci qui.”
Le immersioni sono ancora una completa incognita per me. Devo imparare la morfologia dei punti di immersione, come funzionano le correnti in quel particolare punto, il comportamento degli animali che vi abitano e, soprattutto, a gestire il gruppo che devo accompagnare perché possa divertirsi in sicurezza. È tutto nuovo. Talvolta mi spaventa, e il risultato mi sembra irraggiungibile.
Immergersi con le bombole è un’attività bellissima, un grande privilegio che consente di esplorare per un tempo limitato un elemento che non è il nostro, grazie all’aria che ci siamo portati sulle spalle, dentro le bombole. Quando ci si immerge per le prime volte, è il silenzio che colpisce più di ogni altra cosa. Poi gradatamente, quando la consapevolezza cresce, il mare smette di essere silenzio e comincia a parlare: racconta le lotte per la sopravvivenza, le associazioni degli organismi, le strategie per nutrirsi e per riprodursi. Racconta cosa fa per noi umani e per tutte le altre creature della terra. La conoscenza ci porta a non essere più solo spettatori di un acquario molto bello, ma parte integrante della sua energia e ambasciatori della sua importanza. In quelle mie prime immersioni, in quelle prime settimane, diventa chiaro dentro di me che dovrò studiare tanto per capire quel mondo, per trasmetterlo agli altri, per essere degna del grande dono che mi è stato fatto.
Quando torno dall’immersione, Ahmadu mi aspetta raggiante. È chiaro che si aspetta un complimento per il lavoro svolto. Così vado a vedere. Tra tutti i vetri, in effetti, uno spicca per trasparenza e lucidità, solo uno.
“Only one? E gli altri?”
Indico le altre finestre, ma lui afferma seccamente che io gli ho mostrato come pulire un solo vetro e non ho detto di ripetere la stessa cosa con tutti gli altri.
Capito, è colpa mia! Ci rimango male e lui si sente deluso. Mai dare niente per scontato.
L’equipaggio occupa i momenti liberi della giornata giocando a scacchi, a dama o a carambole. Io vorrei imparare, ma loro non sanno come spiegarmi, così Ahmadu si offre volontario.
Facciamo lezione di scacchi o carambole dopo che entrambi abbiamo finito il lavoro e mentre giochiamo chiacchieriamo, se così si può definire una strana comunicazione fatta di gesti e parole per metà incomprensibili e per metà inventate.
“You know train?”
“Certo, sure? Why?”
“How is?”
“What do you mean?”
“How is?”
“Long…”
Ma quanto lungo, da quest’isola a quell’isola? E una montagna, com’è alta una montagna? E la neve, l’hai mai toccata la neve?
A volte le domande riguardano il mare.
“Mermaids?”
“Sirene? Ma non esistono.”
“Yes, they exist.”
“No, they don’t! Sono sicura, credimi non esistono.”
Insiste.
“I watch in TV.”
“Puoi anche averle viste in televisione, ma non esistono.”
“Underwater?”
“No, giuro! Sott’acqua non le ho mai viste, mi sarebbe piaciuto vederle, ma non esistono, credimi! Ci sono un sacco di altri pesci però…”
“Jinnii, you saw jinnii?”
“What is jinnii?”
Capisco dai suoi gesti che si tratta di uno spirito e che ce ne sono sia in mare che in terra e bisogna fare attenzione a loro perché possono essere molto dispettosi.
“Do you really believe it?”
“Yes, yes, the old fishermen told me.”
“E come si conciliano i jinnii con la religione islamica, col Corano?”
“What?”
“Lasciamo stare! Giochiamo dai.”
Imparo presto che il popolo maldiviano è molto superstizioso e che esistono gli spiriti del mare e della terra, quelli della pioggia e del vento. E imparo che, benché queste superstizioni siano condannate dalla religione islamica ufficiale, nelle isole tutti fanno attenzione a non offendere o disturbare i jinnii, perché uniscono l’invisibile al visibile, essendo capaci di muoversi dove vogliono dentro il mare e sulla terra senza né limiti né barriere. Possono aiutare qualche volta ma anche creare molti problemi, far ammalare le persone che non li rispettano e pretendere tributi. Certamente credono che gli spiriti vivano intorno a loro e insieme a loro e, pare che un tempo esistessero uomini saggi chiamati fanditha in grado di interpretare i segni mandati dagli spiriti a cui gli isolani si rivolgevano in caso di problemi.
A sera la stanchezza ha un peso specifico.
Mi siedo sul ponte e guardo il mare.
La fine della giornata è silenziosa. Ormai la barca è all’ancora sicura, può affrontare la notte e gli imprevisti che essa porta con sé. Ogni motore è spento, resta solo il canto perenne del mare. Anche le voci degli ospiti a bordo si abbassano. Ogni parola è sussurrata. È il momento di ripensare alla bellezza del giorno andato e desiderare che si allunghi oltre la notte, oltre il tempo che passa e non ritorna. È il momento in cui si capisce il senso del viaggio, di quel passaggio che apre le porte verso nuove prospettive e nuovi orizzonti. Chi resta fermo in un luogo non sbaglia, ma non saprà mai cosa si prova a stare a metà tra ciò che è e ciò che potrebbe essere, tra l’eccitazione della partenza e la paura dell’ignoto.
Leggi il CAPITOLO 2
E anche il numero tre me lo sono bevuto come quando hai una sete folle e trovi finalmente un bicchiere d’acqua. Finisce prima che la sete sia soddisfatta !
Aspetto il Quattro, sono già dipendente. Brava, brava bravissima Donatella mi fai ritrovare le emozioni di quei tempi!
Carissima Ornella, grazie ma grazie davvero!
Un abbraccio
Tutto d’un ,fiato e tu lo sai che io non sono una gran lettrice,ma questi racconti prendono talmente tanto che non vedo l’ora di leggere il seguito…. brava Donatella
Grazie di cuore, Paola.
L’obiettivo è quello di salvare i ricordi dall’oblio a cui li condanna il tempo, di rendere giustizia a un popolo e un Paese che ora è visto solo come posto delle vacanze dei ricchi e ispirare, se mai qualcuno possa sentirsi ispirato da questa storia.
Grazie di cuore per la fiducia e per continuare a leggere con entusiasmo.
Grazie a te per continuare a scrivere,leggerti è un vero piacere
Bello bello bello.
Conoscere quei luoghi e anche se da clientr e in modo approssimativo quelle tue esperienze rende la lettura ancora più piacevole.
Che sei brava a scrivere lo sappiamo, ma questi tuoi racconti per me sono come un regalo.
Grazie di cuore Donatella
Con questi racconti riaffiorano anche le mie memorie, che non dobbiamo disperdere.
Alle Maldive, su un atollo negli anni 80, imparai a respirare (con l’erogatore).
Da allora sono tornato in questi meravigliosi luoghi sempre in barca e praticamente sempre con Macanà (l’unico tradimento è stato molto istruttivo).
Quanti ricordi… L’euro, Stefano e te giovanissina. Come hai già scritto è giusto che questo ricordi ti amiamo a galla.
Grazie Donatella leggerti è veramente un regalo.
Caro Mauro, grazie veramente. Ci sono stati molti momenti, durante la scrittura, in cui mi sono chiesta se questi racconti potevano avere un senso anche per qualcuno che non fossi io, se avesse un senso farli leggere e pubblicarli. Quindi i tuoi commenti sono molto preziosi per me.
Un abbraccio forte e grazie di cuore
L’ho letto tutto d’un fiato, semplicemente stupendo, riesci a trasmettere le sensazioni che hai provato anche al lettore. Stupendo ♥️
Grazie di cuore, Donatella. Sono felice che tu riesca a vivere questa storia attraverso la scrittura.
Un abbraccio
Proseguo con molto piacere e interesse questo viaggio davvero molto bello!
Grazie ancora, Antonella, per esserti imbarcata con me in questo viaggio.
Ci vediamo al prossimo porto/capitolo.
Un abbraccio
Eeeeehh anche il capitolo n 3 è volato… la descrizione dei particolari è così precisa che mi sembra di essere ancora liiiiiiiiiii
Grazie….continua così Daaaaaiiiiii
Cara Fulvia, da quando ho aperto la scatola dei ricordi le immagini e le emozioni rifluiscono come la risacca del mare e quando si ritirano lasciano un sacco di conchiglie preziose sulla sabbia.
Grazie per il tuo costante sostegno, questa storia e le persone che decidono di leggerla significano davvero tanto per me.
Un abbraccio forte.
Donatella cara, sei incredibile!!! Ti ho già letto come sai, ma questi capitoli sono la conferma di come tu riesca a trasmettere tutte le emozioni che hai dentro e in questo caso quelle che ti regalano l’ignoto e il mare!!! Sei una GRANDISSIMA scrittrice!!! Riuscirò prima o poi a fare un viaggio alle Maldive con te!!! Attendo con ansia il capitolo 4!!! Ti abbraccio forte!!!
Carissima Donatella, che piacere saperti tra i miei lettori. La scrittura è il modo in cui riesco ad esprimere le parti più intime di me, come sai bene, e sono molto felice da chi legge senta questa parte.
Il prossimo capitolo sarà qui domani… con una sorpresa!
Un abbraccio forte e ancora grazie
Ci sono momenti nella vita che devi partire devi esplorare e conoscere nuove realtà e momenti in cui hai bisogno di restare di consolidare di casa.
Ma questi pochi capitoli mi fanno pensare che il tempo per partire c’è sempre dentro di me e chissà che non ci sia il sogno giusto per ripartire.
Ogni tempo ha le sue richieste, c’è quello per andare e quello per consolidare, c’è quello del riso e del pianto, c’è quello per sè e quello per gli altri, nessuno è sbagliato, ognuno lascia qualcosa di fondamentale basta saper ascoltare se stessi e va bene così.
Un abbraccio forte
Brava Donatella, sapevo già che scrivi molto bene ma in questi racconti si respira anche un’emozione intensa che fa desiderare di essere altrove, che fa sognare. Molto coinvolgente. E grazie del prezioso dono che ci fai, della condivisione di una buona parte della tua vita, non è un gesto scontato!
Cara Angy, a un certo punto questa storia era diventata un urgenza, non so nemmeno bene io perché. Le persone-personaggio mi torturavano per essere scritte, io non ho fatto altro che prestare la mia mano perché accadesse.
So che puoi capire.
Un abbraccio forte e grazie di cuore per la tua lettura.
Ho letto i tre capitoli d’un fiato. Ero con te sulla barca, ero con te ad ascoltare la pioggia e il mare, ero con te nella prima immersione, ero con te quando sei atterrata in questa terra sconosciuta e hai iniziato un nuovo capitolo della tua vita. Ho percepito ogni emozione, ogni odore, ogni sensazione.
Grazie Donatella per questo immenso dono. Adesso però, non voglio tornare a casa. Voglio restare con te su quella barca, ad ascoltare il mare. Scrivimi presto il prossimo capitolo.
È una bellissima sensazione sapere che chi legge riesce a viaggiare dentro le mie parole e le mie emozioni. Grazie di cuore, Martina.
Il prossimo capitolo arriverà presto. Un abbraccio.