Riflessi di Oceano – Capitolo 2
Capitolo 2
Per scendere a Malè, indosso una t-shirt e un lungo pareo tradizionale a righe, simile a quelli usati dai pescatori, comprato il giorno del mio arrivo. È un tubo di stoffa che si avvolge in vita e si raccoglie tra le gambe quando serve averle libere per entrare in acqua. Ai piedi, un paio di infradito di plastica. Le strade della capitale sono di sabbia e corallo frammentato e battuto. Sole le vie principali più grandi sono pavimentate. Le auto sono soprattutto taxi, ape Piaggio prodotte in India, e autocarri che offrono servizio pick-up a persone e merci. Molte biciclette, ma soprattutto si va a piedi. L’isola è lunga due chilometri e larga uno; non è difficile raggiungere ogni luogo in tempi brevi.
Le case sono alte due piani al massimo. Le più moderne sono costruite con mattoni e cemento importati e dipinte in colori vivaci e audaci: dall’azzurro al rosa e al giallo. Alcune sono un miscuglio di colori, forse la vernice era finita e si sono usati avanzi. Talvolta anche le barche sembrano vestite d’Arlecchino. Intorno alle case, giardinetti minuscoli con sedie di corda tipo amache, che non dondolano. I frangipani ingentiliscono le porte di legno dipinte di blu o di verde e profumano l’aria, mentre i banani e le papaye promettono frutti dolci. Le case hanno un nome, come le persone, e un’identità tutta loro.
Sopra i tetti sventolano le palme, ancora piuttosto numerose nonostante ci si trovi nella capitale. Ci sono anche alti ficus, sacri ai buddisti che furono qui prima della conversione all’Islam, e alberi di mango. Nel complesso, la città è verde. La casa del presidente Maumoon Gayum è una reggia per l’epoca; si dice che all’interno ci siano i marmi di Carrara. Ma, al di là di questa, le case della gente sono semplici, pulite e graziose, con giardini recintati da mura che lasciano vagare lo sguardo all’interno. Nelle case non c’è acqua potabile. Donne e ragazzine fanno la fila fuori dalle moschee per raccogliere l’acqua necessaria alla vita quotidiana e, quando passi, ti sorridono e ti salutano. Mi ricordano i racconti di mia nonna sulla Sardegna della sua infanzia. L’acqua era preziosa là quanto lo è qua.
Gli uomini e le donne frequentano moschee diverse. Quelle degli uomini sono più grandi e più belle. Eppure, le donne sembrano felici, nessuna discriminazione evidente. Si vestono con abiti colorati tradizionali, hanno sguardi curiosi e complici. Nulla a che vedere con le donne tristi dell’aeroporto di Karachi. Vanno in giro con neonati in braccio e un nugolo di altri bambini tra le gonne lunghe, giocano tra di loro e sembrano divertirsi a farmi domande che non capisco affatto. Parlano solo dhivehi; la lingua ufficiale delle isole, che loro chiamano Divehi Raja, le isole dove si parla il dhivehi. I bambini iniziano a studiare l’inglese in questi anni e spesso fanno da interpreti per le loro madri: “What’s your name? Where are you from? Where do you work? What are you doing here? How old are you? Where is your husband?”.
Negli anni ottanta e novanta, il turismo cominciava a creare un indotto importante, facendo aumentare la domanda di servizi di ogni genere. Malé era già una città caotica nei primi anni novanta, rumorosa e densamente popolata, ma, diversamente dalle altre città di quest’area geografica, anche molto pulita. Si richiedevano servizi di ogni genere, negozi, uffici, banche e case, ma il terreno carbonatico friabile non consentiva di costruire in altezza. Tutti i palazzi più alti di sette piani si crepavano e vacillavano presto. Chi ci provava diventava oggetto di derisione bonaria ma non rinunciava a sognare di farcela.
La capitale più piccola del mondo, non è una città bella.
D’altronde, nessuna città che cresce troppo in fretta può curarsi del suo aspetto. Per un popolo vissuto sempre nella bellezza della natura ma senza alcuna altra risorsa che la natura stessa, era più importante costruire e lavorare, aumentando il benessere economico e sociale, piuttosto che preservare lo stato delle cose. Alle Maldive le uniche risorse naturali erano il pesce pescato e lavorato, la noce da cocco, di cui si utilizzava la polpa per fare la copra e il mallo per intrecciare corde, e le cipree moneta.
Il sarto mi consegna una matita e mi invita a disegnare ciò che desidero. Non ha capito nulla del mio discorso in inglese.
“Io non so disegnare,” dico.
“Io non so l’inglese,” credo che risponda.
Riproduco un semplice rettangolo con un bordo e scrivo le misure in pollici, sperando di non sbagliarmi nella conversione.
“Ah, yes!” dice col sorriso, come se avesse capito tutto.
Spero sia così!
Gli consegno la stoffa che servirà per cucire le tendine per gli oblò delle cabine e dei bagni. Giusto per abbellire le stanze spoglie e garantire la privacy necessaria agli ospiti. La Wattaru ha un solo ponte dove si trova la dinette, la cucina e uno spazio a poppa occupato dal tavolo dove si mangia. Di giorno la dinette è la timoneria della barca, di notte, dopo che tutti gli ospiti sono andati a dormire, si trasforma nella camera da letto dell’equipaggio. Sottocoperta ci sono cinque cabine e due bagni nel corridoio, riservati agli ospiti e a noi. Occupo, insieme a Stefano, la cabina di prua. Siamo gli unici ad avere un letto matrimoniale, un privilegio a cui spesso dobbiamo rinunciare a favore di qualche ospite in più. Il letto è costruito lungo l’asse della barca e rolla solidale con lo scafo, dando l’impressione di essere cullati. Ci si abitua presto allo sciabordio delle onde nello scafo e, dopo poco tempo, diventa il rumore notturno ordinario senza il quale non si riesce a dormire. Di notte il generatore viene spento, resta il silenzio sulle cui note canta il mare. Qualche volta si aggiunge la pioggia. Mi piace ascoltare la pioggia che cade sul ponte. Se non fosse che, quando è troppo intensa, inizia a gocciolare sul letto rendendo il sonno bagnato e allora bisogna mettere asciugamani per tamponare. Eppure, vorrei che piovesse tutte le sere, tanto è bella la canzone che mare e pioggia sanno creare.
La mattina in cui arrivano i clienti, svegliandomi, trovo il motore al suo posto, la barca pulita e le tendine montate sugli oblò. Non so come abbiano fatto, è successo di notte mentre dormivo, come accade nelle favole: arrivano i folletti e tac, tutto va al suo posto.
“Kiné?” dice Shareef, il capitano della Wattaru, offrendomi una tazza di caffè solubile.
“Barabaru… how could you do all tonight?”
Come ci siete riusciti? Sembra impossibile. Non sa rispondermi, forse non ha nemmeno capito. Sorride e basta con i denti resi rossi dal betel, cresciuti in bocca a caso, come in una maschera grottesca.
“Come hanno fatto?” chiedo a Stefano, che si è svegliato molto prima di me e sta trafficando con qualcosa sul dhoani.
“È San Turismo!”
“Chi?”
“Ah, imparerai a conoscerlo, è quel santo minore che aiuta noi poveretti che lavoriamo nel turismo e mette le cose a posto quando sembra impossibile.”
Il mio sguardo lo fa ridere.
“Tu sei pronta? Faccio la doccia e andiamo in aeroporto. La stagione sta per iniziare!”
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Leggi il CAPITOLO 3
Brava ❤️
Grazie, e ancora grazie, Cristina❤️
Wow aspetto con ansia l’uscita del libro, Donatella cerchiamo di sbrigarci
Ehhh… devo trovare un editore (hihihi).
Intanto continua a seguirmi qui.
un bacio
Oddio mi sembra di essere ancora là’…. i taxi le case e la culla dell’acqua … la pioggia, il Santo Tutismo… i denti e la bobubando del capitano ….il pareo e i piedi nudi …
i tessuti carini per le tendine e le tovaglie… ♥️♥️♥️
Sono stati momenti magici, nonostante tutto lo stress e l’ansia di non essere mai pronti in tempo… ahahahah
Racconti meravigliosi! Che privilegio è stato poter vivere delle Maldive così vere e incontaminate.. non vedo l’ora di leggere il resto
Cara Elisabetta, è stato un grande dono e un vero privilegio. Per queste ragioni penso che meriti di essere raccontato e conosciuto.
Grazie per il tuo commento e ti aspetto ancora qui per il seguito.
Un abbraccio
Totalmente d’accordo Io ho vissuto le Maldive con voi a fine febbraio con il mio compagno ed è stato un vero sogno ad occhi aperti. Non oso immaginare cosa fosse all’epoca!
Non vedo l’ora di leggere il resto. Grazie
È stato qualcosa che ha talmente riempito le nostre vite facendole anche cambiare di direzione, talvolta, che non si potrà mai dimenticare.
A presto per il prossimo capitolo e un abbraccio.
Bellissimo, mi sembrava di essere lì.
Brava Donatella, attendiamo i capitoli successivi
Carissima, tu c’eri… e il mare ci ha regalato anche una bella amicizia.
Grazie di cuore per il commento.
Un abbraccio
gradevolissima lettura! Spero ci sia anche un capitolo dedicato agli sprovveduti tipo quelli che scendono le scalette dell’aereo col cappottino come se fossero arrivati a Francoforte…
Ahahah… ci sarà spazio per tante cose.
Un abbraccio
Sembra di vivere le emozioni accanto a te… bello sentire gli odori e vedere le cose attraverso gli occhi della tua penna. Chi ha avuto il piacere di incontrarti e conoscerti sarà curiosa come me di sapere come hai vissuto questi meravigliosi anni … ti aspettiamo con immenso piacere ❤️
Cara Samanta, grazie per il tuo commento. Sono felice che questa storia sia in grado di appassionare chi la legge quanto ha appassionato chi l’ha vissuta.
A presto e un abbraccio forte