Le mie Maldive

Riflessi di Oceano – capitolo 12

Capitolo 12

La navigazione tra Laamu e Huvadhoo procede con meravigliosa lentezza. Il sole è alto, il mare è calmo, e il vento, che soffia da nord-est, ci spinge dolcemente. La Wattaru avanza sicura, seguendo la sua rotta, come se il tempo fosse un concetto lontano, qualcosa che appartiene a un altro mondo. A bordo ci sentiamo depurati da ogni ansia, felici del momento, di quel presente che non si pone domande, che si lascia vivere. 

Poi, un soffio accanto alla prua. Poi due, tre, quattro. Le grosse teste dei delfini globicefali, o balene pilota, emergono attorno alla barca. Soffiano, si immergono, riemergono. Intorno a loro, si materializza un gruppo di Stenelle, come venute dal nulla, nuotano veloci intorno a noi, saltano, giocano con le onde create dalla barca, felici quanto noi per quella giornata. Ogni salto sembra un inno alla libertà. Shareef vira a sinistra, indicando un punto nel mare: un soffio più grande. Poi una coda di balena si immerge lentamente, come un sipario che cala, mettendo una certa distanza tra noi e lei. Una giornata come questa non si potrà mai dimenticare.

Questo si intende quando si dice che viaggiare è in grado di trasmutare le persone: le esperienze entrano sotto pelle ed è come se trasformassero la materia in qualcos’altro di migliore. Tornare indietro non è più possibile, è come se lo stesso atto del viaggiare ti desse la responsabilità di cambiare te stesso e cambiando cambia anche il mondo intorno a te, le persone che hai incontrato durante il viaggio e quelle che hai accanto nella vita. Ogni viaggio aggiunge qualcosa, ci rende più completi, più ricchi di ciò che non si può né misurare né spiegare.
Durante un viaggio a Siviglia lessi questa frase scritta sul muro di una libreria che non ho mai dimenticato: siamo tutti i viaggi che abbiamo fatto, le persone che abbiamo incontrato e i libri che abbiamo letto.

Entriamo nell’atollo attraverso la pass. Ai lati, il verde brillante del reef contornato dall’acqua azzurra. L’aria è trasparente quanto il mare sotto di noi. Huvadhoo, il più grande atollo delle Maldive, con le sue isole sparse, sembra quasi un mondo a parte. Da qui, nel 1958, partì la rivolta che portò alla breve indipendenza di Suvadiva, sostenuta dagli inglesi, una storia che ha lasciato poche tracce visibili. Il piccolo Stato di Suvadiva univa i tre atolli più a sud e si divideva dai restanti. Suvadiva ebbe vita breve, meno di dieci anni. La rivolta fu sedata e l’arcipelago tornò un unico Stato sotto il suo sultano. Molto poco si sa della storia antica delle Maldive, poiché non ci sono scritti che la raccontino. Esistono però  leggende che vorrebbero le Maldive abitate già duemilacinquecento anni fa da naviganti provenienti dall’India che costruivano idoli del sole, della luna e delle stelle e che si stabilirono negli atolli del sud. Ma altri naviganti arrivarono da Sri Lanka e portarono altri miti e altri culti, tra cui sicuramente l’Induismo e il buddismo. La leggenda vuole che il nord fosse abitato da genti con tratti morfologici diversi provenienti da altre parti dell’India. Quale sia l’esatta origine forse non si saprà mai ma certamente si tratta di un miscuglio di popoli arrivati dal mare che facevano commercio già con i romani e poi con l’impero cinese. La conversione all’Islam si fa risalire al 1153 ed è legata a una storia leggendaria che narra come un navigante arabo, Abu al-Barakat, riuscì a scacciare il mostro marino Rannamaari, che si presentava a ogni luna piena pretendendo il sacrificio di una giovane. Abu al-Barakat si travestì da giovinetta e leggendo versetti del Corano per tutta la notte allontanò il mostro per sempre. L’allora sultano, impressionato dal fatto che le parole del Corano avessero un tale potere, decise di convertirsi all’Islam. L’arcipelago fu governato a lungo da re e sultani, da principi e principesse. Le donne hanno sempre avuto una parte importante nella società che aveva basi matriarcali come accade spesso nelle società isolane. La sultana più memorabile fu Khadeeja che regnò dal 1342 al 1380. Forse arrivata al potere per avere assassinato il fratello. Quando lo sposo si impadronì della sua posizione di leader gli fece fare la stessa fine che aveva fatto fare a suo fratello e continuò il suo regno da sola. Fu durante il regno di Khadeeja che Ibn Battuta, leggendario mercante viaggiatore arabo, arrivò alle Maldive con la sua nave per acquistare cipree moneta e scambiare mercanzie. Nei suoi scritti descrive le Maldive come una delle meraviglie del mondo e i suoi abitanti come un popolo devoto, fragile e poco incline ai conflitti. 

La storia politica delle Maldive è quella di un governo monarchico. La prima costituzione promulgata dal sultano Shamsuddine risale al 1932 ed è anche il primo segno dell’indebolimento del sultanato. Alcuni privilegi del sultano spariscono con la costituzione e compaiono l’Assemblea del popolo (eletta con i rappresentanti degli atolli) e un consiglio legislativo composto di ventotto membri di cui sette scelti dal sultano. Nel 1953, le Maldive diventano una repubblica con un presidente al posto di un sultano, un senato, una camera e un procuratore generale. Nel 1954, il sultano riprende il potere ma il processo di transizione verso una giovane democrazia è iniziato e non si potrà più arrestare. Nel 1968, quando il resto del mondo lottava per i diritti civili e l’amore libero, alle Maldive si riuscì ad arrivare a una forma di repubblica presidenziale duratura con una costituzione vera, un presidente e una camera di rappresentanti degli atolli. Il presidente è eletto ma il popolo può solo scrivere si o no su una scheda elettorale con un unico nome. Il presidente degli anni di cui sto raccontando è Maumoon Abdul Gayoom, eletto nel 1978 con una maggioranza del 92%, è il secondo presidente di una giovanissima repubblica. È molto amato dalla gente. Ma, seppur illuminato, resta un dittatore, che accentra su di se tutti i poteri e favorisce famigliari e amici. Intelligente, educato e visionario, Gayoom ha introdotto la scuola dell’obbligo, ha garantito l’approvvigionamento di materie prime, ha costruito scuole e ospedali, ha incentivato la trasformazione dei dhoani da pesca a vela in dhoani a motore. La metamorfosi che le Maldive stanno compiendo genererà qualcosa di nuovo: cosa? Bisognerà aspettare anni per distinguerlo chiaramente, ma un’immagine appena accennata già si intravede all’orizzonte.

All’orizzonte, compare un barchino con una vela, un piccolo punto che sembra muoversi nella nostra direzione. Mentre lo osserviamo, la Wattaru àncora davanti a una lingua di sabbia a forma di mezzaluna. Insieme ai nostri ospiti ci buttiamo in acqua per raggiungere l’isola a nuoto. Non c’è fretta. Ogni bracciata è lenta, ci facciamo coccolare da quel mare tiepido e accogliente. Intanto la piccola vela procede verso di noi.
Siamo rientrati a bordo e abbiamo già finito il pranzo quando il vecchio marinaio sul suo guscio di noce si affianca alla Wattaru. Assomiglia a Santiago, il protagonista del romanzo di Hemingway, e come lui, sembra cercare acque pescose in oceano. Parla con i marinai, restando fieramente al timone, vuole sapere chi siamo, dove andiamo, e se abbiamo pescato. Shareef gli spiega che noi cerchiamo pesci da guardare, non da pescare, cosa che lo sorprende. 
“E cosa vi mangiate se li guardate e basta?” chiede con una punta di incredulità.
È una buona domanda in effetti! Sorrido. Come spiegargli il nostro legame con il mare, così diverso dal suo, ma altrettanto profondo? Gli offriamo del tè e del cibo, ma lui chiede solo acqua. Quando Abdullah gli porge due bottiglie di acqua minerale fresca, il vecchio le tocca e sobbalza per la sorpresa. Il freddo dell’acqua lo colpisce. 
“Ma cos’è questa magia?” domanda in un dhivehi incomprensibile per me. Gli altri gli spiegano e poi lo accompagnano in cucina per vedere da dove spunta la magia. Tace mentre infila le mani nel frigorifero per sentire con le proprie dita quel miracolo della modernità. Poi ride di gusto, e si complimenta: “Bravi che siete! Che invenzione hanno portato gli stranieri!”

Santiago e il suo guscio di noce, con le sue due bottiglie d’acqua fredda, riprendono la rotta verso l’oceano aperto, in cerca di un bel pesce da pescare. Nessuno ha avuto il coraggio di dirgli che quel “freddo” se ne andrà presto portato via dal calore del sole. Forse, allora penserà che gli stranieri lo hanno ingannato con una magia effimera che non dura nemmeno il tempo di bere tutta l’acqua. Oppure riderà di gusto, dicendo ancora: “Bravi gli stranieri e che furbi che sono ad avermi fregato con questa illusione!” 

Lo vedo allontanarsi, e mi chiedo se mai riusciremo davvero a comprendere il mare allo stesso modo, a viverlo con quella serenità che sembra avere lui negli occhi.

Le isole di Huvadhoo sono molto più grandi rispetto a quelle degli altri atolli e lo sono anche le lagune che le circondano. Lunghe alcuni chilometri, hanno terra scura e alberi. Mucche e caprette che brucano l’erba. Nei giardini delle case crescono melanzane e pomodori. Le persone sono più alte e gioviali. Nel negozio di Kaadhedhoo troviamo varietà e disponibilità di prodotti e possiamo rifornire la cambusa della Wattaru. Ci sono anche shampoo e dentifricio e lo Zam-Zam, l’olio di gelsomino indiano che metto sui capelli per cercare di proteggerli dal sole costante e dall’acqua di mare anche se ormai sono diventati biondi dorati. Compriamo anche il carburante, il gas da cucina e tutto ciò che ci serve per continuare la nostra rotta verso l’equatore. 

Sotto di noi, durante le immersioni, giardini di corallo si aprono come merletti colorati, e il pesce, non abituato ai subacquei, ci osserva con sospetto, mantenendo le distanze. Non posso biasimarli. Gli umani non sono mai innocui, anche quando si limitano a guardare. Eppure, qui siamo pesci anche noi, creature sospese in un mondo liquido. Non vogliamo disturbare, non desideriamo modificare l’ambiente a nostra immagine. Forse inconsciamente sì, ma qui e ora, siamo parte di qualcosa di più grande.
Segnalo la fine dell’immersione. L’acqua è trasparente, la corrente leggera, il sole splende alto. Ci fermiamo a cinque metri per la sosta di sicurezza, quando all’improvviso un banco di fucilieri blu ci circonda. Due sagome scure si avvicinano velocemente: pesci vela. Ci scorrono accanto, sfiorandoci appena, poi aprono le loro vele lucenti come bandiere che sventolano in segno di rispetto. Ci osservano, si avvicinano appena e poi scompaiono in una frazione di secondo, lasciandoci senza parole. Non mi abituerò mai alle sorprese che il mare sa fare!

Scendiamo ancora verso l’equatore, verso il polo sud.
Calma piatta, assenza di vento, mare immobile. Queste sacche, un tempo, afflosciavano le vele e condannavano le imbarcazioni a derive, fame e malattie. La Wattaru col suo motore prosegue con un’andatura costante, quasi regale, in solitaria. La destinazione è fissata ogni giorno sulla carta nautica, ma aperta a cambiamenti in base all’intuizione della giornata. Abbiamo un unico vero appuntamento, il volo aereo con cui gli ospiti potranno tornare a Male in coincidenza con il volo internazionale, per il resto siamo liberi di vagare sperando in nuovi incontri. Il sole è una palla definita, si leva sicuro, si muove nel cielo, naufraga nel mare a sera, lasciando dietro di sé cannella e oro come doni. Abitare su una barca, un giorno, un mese, un anno. Il tempo che si stiracchia, perde consistenza, le abitudini diventano rituali scanditi dai tempi della natura, dalle maree, dalle albe e dai tramonti. Non so mai che giorno è. Persino l’orario è alienante: viviamo dentro quella che definiamo ora turistica, un’ora che non c’è, non esiste in nessun fuso orario ma solo sulla nostra barca. Portiamo avanti l’orologio di un’ora rispetto all’ora locale per sfruttare meglio l’ora solare ed avere l’alba alle 7,15 e il tramonto alle 19,15. Con arroganza sfidiamo le regole imposte, ci scegliamo in quale tempo vivere e in quale modo. Siamo naviganti, nomadi, poeti. Mi obbligo a scrivere ogni giorno una pagina sul mio quaderno per trattenere le sensazioni. 

So che, col tempo e con la quantità di ricordi che si vanno stratificando, i colori sbiadiranno e le emozioni di questa stagione alle Maldive cadranno in qualche crepaccio di memoria e allora affido alla parola scritta il compito di salvare ciò che il vento e e le onde inevitabilmente porteranno via.

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2 pensieri riguardo “Riflessi di Oceano – capitolo 12

  • Bruno Perdona

    È molto interessante la storia delle Maldive che non conoscevo e che penso sia stato non facile per te ricavarla.
    Brava complimenti.

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    • Donatella Moica

      Tanti anni di approfondimento… e molta passione!
      Grazieee

      Rispondi

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