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Raccontarsi cambia chi siamo? La narrazione autobiografica come specchio e bussola

Ci raccontiamo da sempre. Lo facciamo quando incontriamo qualcuno per la prima volta, quando parliamo del nostro passato, quando spieghiamo chi siamo. Ma non sempre ci accorgiamo di una verità sottile e potente: il modo in cui scegliamo di raccontarci modifica il nostro stesso sguardo su di noi e sugli altri.

Raccontarsi non è solo un atto di memoria. È un atto di creazione e in quanto tale proiettato nel futuro.

Se ti chiedessi di raccontarmi la tua vita in dieci righe, cosa sceglieresti di dire? Partiresti dai successi o dalle difficoltà? Dai viaggi o dalle radici? Da un evento preciso o da un’impressione generale?

Scavare nella memoria non è facile: occorre dissodare il terreno, eliminare pietre e erbacce, selezionare i fiori e le piante da frutto. Ogni ricordo è una selezione. Ricordiamo certi eventi, ne cancelliamo altri. E ciò che scegliamo di includere (o escludere) dalla nostra narrazione rivela non solo cosa pensiamo di noi, ma anche come vogliamo che gli altri ci vedano.

C’è chi si racconta attraverso le proprie ferite, chi attraverso le proprie conquiste. Chi si definisce per il lavoro che fa, chi per gli amori vissuti, chi per i sogni ancora chiusi in un cassetto. Ma qualunque sia la versione che scegliamo, una cosa è certa: questa versione ci influenza più di quanto pensiamo.

La narrazione come specchio

Proviamo un esperimento.

Pensa a un episodio determinante della tua vita. Ora prova a raccontarlo in due modi diversi:

1. Come una sconfitta, sottolineando la fatica del cambiamento, l’ingiustizia di doverti mettere in discussione, il dolore della metamorfosi…
2. Come una svolta, evidenziando cosa hai imparato da quella esperienza, come la trasformazione ha dato senso a ciò che facevi, cosa resta ancora oggi di quel fatto…

Questa scelta non è solo un esercizio stilistico. È un modo per capire che le storie che ci raccontiamo diventano lo specchio attraverso cui ci vediamo e permettiamo agli altri di conoscerci. 

E non è autoinganno. È consapevolezza narrativa.

La narrazione come bussola

Se il nostro racconto è uno specchio, è anche una bussola. Ci indica dove stiamo andando, o almeno dove pensiamo di poter andare.

Diventare consapevoli del filo conduttore che attraversa la nostra storia significa dare dignità e valore a tutta una serie di elementi che determinano chi siamo nella nostra straordinaria unicità. Quando raccontiamo la nostra storia, stiamo già scegliendo cosa lasciare nel passato con gratitudine e cosa portarci nel futuro con speranza. E questa scelta plasma il nostro modo di relazionarci con il mondo.

Le parole con cui scegliamo di definirci non sono solo parole: sono traiettorie che creano la realtà.

Scrivere di sé per riscrivere il futuro

Non possiamo e non vogliamo cambiare il passato, ma possiamo cambiare il modo in cui ce lo raccontiamo e lo raccontiamo. E questo cambia tutto!

La narrazione autobiografica non è un esercizio per narcisisti, è uno strumento di trasformazione. È l’arte di dare senso a ciò che abbiamo vissuto per vivere liberamente il presente e il futuro.

Ogni volta che scriviamo o raccontiamo la nostra storia, stiamo scegliendo chi siamo. Stiamo decidendo cosa conta davvero. Stiamo, in un certo senso, riscrivendo il nostro passato e determinando il nostro futuro.

E tu, quale storia scegli di raccontarti?

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