Per fortuna, amando, mi sono rovinato la vita
Andrea Improta si presenta in ritardo al nostro appuntamento. Mi scrive un messaggio che dice “non scappare via…”
Mi viene da ridere e decido di aspettare che il poeta abbia trovato un varco nel traffico fiorentino per arrivare sino alle “Murate”. In fondo glielo devo visto che solo qualche settimana fa è venuto a sentirmi raccontare di “Seconda navigazione” con un caldo torrido e nell’ora di punta. Mi sistemo più comoda, mi guardo intorno, penso che la ristrutturazione dell’ex carcere delle Murate è davvero straordinaria. Dalle finestre pendono panni colorati stesi ad asciugare all’aria, due ragazzini giocano con una palla, un altro, più piccolo, impara ad andare in bicicletta sotto gli occhi attenti di suo padre. Il rumore del traffico non arriva, quasi. Sembra di dimorare in un’altra dimensione. Ad ascoltare bene sono tante le voci, tante… vengono da dentro le mura, vengono dal passato di un carcere e, prima, di un monastero. Erano le monache di clausura, le “murate”. Chissà quante storie sono sepolte lì dentro.
Finalmente arriva Andrea, un po’ trafelato e dispiaciuto del ritardo. Non sa che tutte quelle presenza mi hanno fatto compagnia.
Beviamo, un prosecco io, un vino lui. Si presenta dicendo “sono imperfetto, amo il vino, l’amore e la poesia”. Parliamo, di mare e sogni io, di amore e sogni lui. In fondo, della stessa cosa. Mi regala il suo libro, contenitore delle sue poesie. Poesie così… che sembrano canzoni con una musica dentro. Poesie così… che non cercano risposte, perché risposte non ci sono. Poesie così… che quando le leggi ti chiedi “ma sono io?”. Poesie così… che ti sembra, quasi, di averle scritte tu.
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Voglio me
E voglio,
voglio tutto.
Voglio l’incanto che fa luce
in una sera che non è ancora estate,
ma i tavolini brillano di voci
e i marciapiedi ballano di baci.
Il filo perso di questa vita
Sarà solo n nodo nella tasca,
tenuto lì, ricordo e moneta,
prezzo per il volo di quei giorni.
Voglio le nuvole sotto le ali
e il sole dove atterrano i passi,
col mare lì nel mio bicchiere,
vino bianco dei suoi occhi felici.
Giornali di pace e caffè in camera
dove tutto ride e perdona,
perché la notte è stata folle,
più di me, più di lei. Come noi.
Voglio l’abbraccio
di chi ora si volta.
Voglio tutto,
voglio lei,
voglio me.
Non solo dentro una poesia
Siamo tutti un po’ così.
Siamo scarpe consumate
con ricordi tra le mani
e dita sempre più serrate
a fare i lacci stretti,
perché c’è sempre
un altro metro
da correre e da credere.
Occhi a una finestra,
pioggia da chissà dove,
con gocce che non sai
se sono fuori
o dietro il vetro;
ma il tuo sospiro asciuga
e senti il mare.
Letti disfatti
nella tempesta più bella,
ci lasciamo spogliare
uccidendo rimpianti;
ballando per nascondere paure
scegliamo poi chi ci ama deboli.
Siamo tutti un po’ così.
Anime scassate
e viaggiatori ignari;
andata e ritorno,
dall’amore alla rabbia,
dalla rabbia alla vita,
dalla vita all’amore.
Non solo dentro una poesia.
Il mare mi frega perché sa che lo adoro
Il mare è come te,
mi mette a nudo.
Lo guardo muto
Seduto in riva,
tra castelli di paure,
mentre arriva a piedi scalzi
per baciare quella sabbia.
E lì ti bacerei.
Gli affido ogni segreto,
inutile resistere;
sono capelli lunghi
quelle onde scure
che ti prendono la terra.
E lì ti prenderei.
Il mare è come te,
mi manca anche vicino.
Come l’odore del tuo corpo
ed il tuo sguardo quella notte.
Tu ci sei nata dentro il mare.
Il mare è come te:
mi frega sempre,
perché lo sa che io lo adoro.