Loving Van Gogh
“Non so nulla con certezza, ma la vista delle stelle mi fa sognare.”
Il 18 ottobre era l’ultima occasione per vedere questo film. Ero stanca ma qualcosa mi diceva che non dovevo perderlo e infatti…
Al di là della personale passione per l’arte di Van Gogh, questo film è innovativo, affascinante ed emozionante. Il progetto nasce per essere un cortometraggio sulla vita del pittore finanziato in crowd funding, poi esploso tra le mani e diventato un lungo metraggio con diversi produttori illustri.
Non si tratta solo di un film tradizionale con attori, regista, scene, costumi eccetera eccetera e nemmeno di un film d’animazione con disegni animati. Si tratta di un miscuglio. Un cocktail di recitazione di attori veri e dipinti realizzati a mano da centinaia di artisti secondo lo stile unico e inconfondibile del grande impressionista. E’ un’immersione dentro un mare di colore, un tuffo nelle onde delle pennellate spesse e dense che non lascia indifferenti.
Anche la scelta narrativa è estremamente interessante. La vita dell’artista è narrata in un viaggio a ritroso nel tempo che comincia un anno dopo la sua morte, attraverso un giovane, Armand Roulin, figlio del famoso postino di Van Gogh – l’unico che abbia mai comprato un suo quadro quando l’artista era in vita – e, che dell’uomo in questione non ha nemmeno una grande stima, anzi lo considera un fastidio e un problema per suo padre e per tutta la loro famiglia. Pur non volendo, viene incaricato dal padre di recapitare un’ultima lettera, ritrovata casualmente, e indirizzata al fratello Theo. Niente di strano visto che Van Gogh scriveva tutti i giorni a suo fratello. Armand, però, l’ultima cosa che vorrebbe fare è occuparsi di questa faccenda. Invece obbedisce e si ritrova a Auvers-sur-oise. E anche noi veniamo catapultati là, in quel paese di Francia, attraverso i paesaggi e i luoghi dipinti da Van Gogh. Sembra di essere in un vortice che gira e gira e tira in basso verso luoghi sconosciuti, in fondo all’anima, dove tutto è possibile e persino reale. Così ci ritroviamo dentro una notte stellata pulsante, in un campo di grano con corvi gracchianti, in un mazzo di iris profumati, nelle note uscite dal pianoforte suonato da Marguerite…
Il film è rapido, come richiede la narrazione moderna, eppure tenero e mai alienante, pur tenendo lo spettatore col fiato sospeso fino alla fine.
Armand comincia a comprendere che Vincent non era solo un “matto”, forse uno fuori dal comune, uno strano, uno sopra le righe, certamente sì. Ma anche un uomo gentile, educato, sensibile, profondo e tormentato. Un genio che cercava comprensione e tregua ai suoi mali interiori.
Attraverso le persone conosciute nelle ultime sei settimane di vita ripercorriamo il giallo, proprio come il suo colore preferito, della sua morte che, forse, non avvenne per un suicidio ma per un incidente, per un errore o perché era il suo destino di morire a 37 anni. Aveva scoperto la pittura a 28 anni e in quei nove anni, quasi sapesse che non gli restava troppo tempo, vi si dedicò per otto ore al giorno producendo una quantità di lavori impressionante e straordinaria che oggi è patrimonio di tutti noi. Vincent Van Gogh utilizzò il colore per manifestare il suo grande amore per la vita.