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La terra trema e tremo anch’io…

Se ad un terremoto si sovrappone un altro terremoto cosa succede?

“Il terremoto è un naufragio in terra” dice Erri De Luca, “quella che ci ostiniamo a chiamare terra-ferma, ferma non lo è affatto”. Infatti la terra non è ferma, ce lo avevano già detto alle scuole medie. I buoni insegnanti avevano spiegato a noi bambini che le zolle di cui è composto il nostro pianeta sono ben lontane dall’essere immobili anzi cozzano, spingono, si urtano in un processo di evoluzione continuo. Ma è raro prendere sul serio qualcosa che è scritto sui libri di scuola finché non ci tocca direttamente. L’Italia è in una situazione particolarmente “compressa”, quasi esplosiva, tra l’Europa e l’Africa. Siamo terra di confine da qualunque parte ci guardiamo, sopra o sotto la terra, sopra o sotto il mare. Ci stiamo così abituando alla nostra condizione di “frontiera” attraverso cui passano merci, uomini e anime che presto non ci faremo nemmeno più caso. Ci stiamo abituando anche al terremoto. Conviviamo con esso. Conviviamo con le scosse, ci fermiamo un attimo, facciamo il segno della croce (quelli a cui è rimasto ancora questo conforto) e riprendiamo il lavoro.

Il terremoto è qualcosa di molto profondo e non solo perché avviene in fondo, dentro alla terra, laddove noi immaginiamo esserci le radici degli alberi e anche le nostre, di radici. C’è la nostra storia, la nostra casa, le tombe dei nostri cari, i nostri ricordi. Il terremoto sradica le sicurezze, ci fa sentire fragili, vulnerabili, incapaci… Possiamo mettere “barriere materiali” tra noi e ciò che ci spaventa di più ma cosa si può mettere tra noi ed il terremoto? Come si fa a pensare che quella terra non ti voglia più e ti sputi via?

Io capisco chi vuole restare. Non riesce a credere che abbiano veramente ragione quelli (gli scienziati) che dicono ormai da mesi, giorni, ore, senza interruzione, che si è riattivata una faglia che continuerà ad assestarsi e assestarsi vuol dire scosse e terremoti.

Ma la terra balla, si muove, non ne vuol sapere di fermarsi e ballare con essa non è facile. Siamo davvero barche. Siamo barche che rollano e beccheggiano con i movimenti ondulatori e sussultori. Ci facciamo portare dall’onda sperando che passi sotto di noi senza fare troppi danni alla nostra barca. Una specie di ottovolante che, nel percorso, ha anche il giro della morte. Ma poi finisce. Poi si scende e se ti ha fatto troppa paura, non ci risali. Noi in questa Italia invece vorremmo continuare a starci. Ci vogliono stare gli allevatori con le loro pecore, con i polli e con i campi. Preferiscono una baracca all’hotel sul mare. Perché lì c’è il loro lavoro che da senso alle loro vite. “Non sono solo vecchi, quelli che vogliono restare” dice il telegiornale. Ma che senso ha dire che non sono solo vecchi? Perché i vecchi non hanno diritto di aver paura della morte, di spaventarsi ad ogni scossa? Forse pensiamo che gli anni abbiano dato loro la saggezza di affrontare la morte e la perdita come un passaggio inevitabile che riguarda tutti? Non lo so. Io non guardo, quasi mai, la televisione. Va troppo di corsa, cambia bandiera in fretta, non ti dà il tempo di abituarti a quello che è successo… è un po’ come uno sciame sismico che ci mangia e poi ci vomita subito dopo.

Le scosse non fanno tremare solo la terra, scuotono anche noi. Aprono faglie che, forse, mai si richiuderanno e che tremeranno sempre, un poco. Anche quando sono passate, la paura resta. Resta la paura di perdere tutto, di non riuscire a dire addio a chi ami, di finire “dentro” la terra. Come da un conato maleodorante noi dobbiamo ripulirci, non arrenderci, non credere nella fatalità degli eventi. La nostra terra è nostra, “difettosa” forse, ma è nostra. E’ la terra dei nostri antenati, è la terra degli antichi romani, è la terra piena di opere d’arte, è la terra del vino e dell’olio, è… quella che dobbiamo lasciare ai nostri figli.

Si può ricostruire. Abbiamo bisogno di lasciare tracce che sopravvivano alla morte con gli edifici, le opere d’arte, i libri… Si deve ricostruire partendo dalla consapevolezza della situazione sismica del nostro paese e, magari, facendo più attenzione a “chi avrà gli appalti per quella ricostruzione”.

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