La Repubblica italiana è donna. E chiede voce.
Nel 1946 l’Italia scelse la Repubblica.
Fu una scelta politica, ma anche simbolica.
Il volto della Repubblica è quello di una donna: senza corona, senza armi, con rami di ulivo e quercia. Un’immagine che richiama la pace, i diritti, la libertà e la democrazia. E anche il futuro.
Quell’immagine voleva essere anche un segnale di discontinuità con il passato sabaudo spesso caratterizzato da figure maschili patriarcali. In quello stesso anno, per la prima volta, le donne votarono ed entrarono nell’Assemblea Costituente. È un fatto spesso ricordato, ma ancora poco riflettuto.
La Repubblica nasce con un volto femminile non per un’estetica, ma per un principio: la generazione di un nuovo inizio, che include anche chi era stata esclusa.
Oggi quella scelta ci interpella ancora.
Viviamo un tempo in cui la democrazia cammina incerta. In molte parti del mondo avanzano censura, controllo, autoritarismo. La guerra è tornata, nell’Europa che aveva giurato di non volerla più. E continua dal 2022, anche se di fatto era già iniziata prima.
A Gaza, un conflitto lunghissimo sembra trovare senso solo nella distruzione.
I più fragili – bambini, anziani – muoiono per fame e mancanza di cure.
Intanto, nel mondo occidentale, si incrinano i diritti di equità e uguaglianza.
Proprio lì dove si pensava che la scienza e la cultura universale fossero un patrimonio condiviso e solido.
La libertà e la democrazia non sono mai garantite.
Sono beni collettivi, che richiedono consapevolezza, impegno, cura e responsabilità.
Celebrare la Repubblica significa anche questo: scegliere da che parte stare, e farlo ogni giorno, attraverso le azioni, le parole, l’ascolto.
La Repubblica ha il volto di una donna.
Ma non ha ancora trovato piena voce.
Nel mondo del lavoro, della rappresentanza, dell’accesso ai diritti, il gender gap è ancora profondo. L’Italia è tra i Paesi europei con i livelli più bassi di occupazione femminile e un tasso ancora critico di presenza delle donne nei ruoli decisionali.
Dare voce alla propria storia è il primo passo per esercitare libertà e responsabilità.
È da qui che inizia il mio lavoro con le donne.
Perché prendersi cura della propria storia significa anche prendersi cura del futuro.