La passione di Nazim Hikmet
Io posso serenamente dichiarare di amare la poesia. La poesia in generale, intendo, da chiunque provenga. Quando il postino di Neruda recita < la poesia non è di chi la scrive, è di chi gli serve > mi trova d’accordo al 100%. Perché la poesia serve, serve per sentirsi meno soli quando si è afflitti da un dolore ma anche quando si è preda di grandi passioni. D’altra parte è questa la ragione per la quale amiamo le canzoni che parlano di emozioni universali, perché in fondo ci piace sentire che le vivono anche gli altri e non siamo i soli “bischeri” sul pianeta ad aver perso la testa per amore o a soffrire per una delusione…
Ci sono, però, persone che la poesia ce l’hanno dentro in qualunque cosa facciano. Che nella poesia vivono, che in essa fondano tutto ciò che sono. Queste persone intingono le loro passioni nella poesia come i pittori fanno col pennello e con esse dipingono immagini bellissime che toccano il cuore dell’uomo. Eh si, perché alla fine di questo si sta parlando quando si usa la parola poesia: di qualcosa in grado di penetrare la scorza dura dell’uomo ed arrivare a toccargli l’anima.
Per questo ho sempre amato le poesie di Nazim Hikmet:
“La vita non è uno scherzo.
Prendila sul serio come fa lo scoiattolo, ad esempio,
senza aspettarti nulla dal di fuori o nell’al di là…
…Prendila sul serio, ma sul serio a tal punto
che a settant’anni, ad esempio, pianterai degli ulivi
non perché restino ai tuoi figli
ma perché non crederai alla morte
pur temendola,
e la vita peserà di più sulla bilancia.” (Alla vita)
“Sei la mia schiavitù sei la mia libertà
sei la mia carne che brucia
come la nuda carne delle notti d’estate
sei la mia patria
tu, coi riflessi verdi dei tuoi occhi
tu, alta e vittoriosa
sei la mia nostalgia
di saperti inaccessibile
nel momento stesso
in cui ti afferro” (Sei la mia schiavitù)
“Ed ecco ce ne andiamo come siamo venuti
arrivederci fratello mare
mi porto un po’ della tua ghiaia
un po’ della tua luce
e della tua infelicità.
Ci hai saputo dir molte cose
sul tuo destino di mare
eccoci con un po’ più di speranza
eccoci con un po’ più di saggezza
e ce ne andiamo come siamo venuti,
arrivederci fratello mare” (Fratello mare)
Pur amando i suoi versi, di lui sapevo veramente poco. Fu durante un viaggio a Istanbul, grazie ad una guida appassionata ed innamorata del suo paese e della poesia, che ho scoperto veramente l’uomo Nazim Hikmet. Un poeta vissuto in un epoca di grandi cambiamenti che sconvolsero non solo il suo paese ma il mondo intero. Un poeta d’amore, un poeta romantico, nel vero senso originario del termine. Ebbe una vita avventurosa, intrisa di passioni a tutto tondo. Amò tantissimo la sua patria e difese le sue idee finendo più volte in carcere. Alla sua storia è intrecciata quella di Ataturk, primo presidente e padre spirituale della Turchia moderna alla cui storia, dopo quel viaggio mi sono appassionata. Così tra la magia di un tramonto sul Bosforo, il fascino della Chiesa di santa Sofia, l’opulenza della Moschea Blu, il mistero della cisterna Basilica, comprendevo sempre di più l’amore di Nazim Hikmet per la sua terra e per l’Uomo. Il suo coraggio, la sua determinazione, anche quando sapeva di scontrarsi con i mulini a vento, sono entrati piano piano dentro di me e l’ammirazione per i suoi versi si è trasformata in qualcosa di più profondo, di più intimo. La nostra guida, una donna (è già questo è importante se pensiamo alla Turchia attuale) moderna, studiosa ed appassionata di storia e letteratura ci confidò di aver viaggiato in molti posti e vissuto in Italia. Eppure è in Turchia che aveva scelto di tornare e di vivere ed era per avere un paese democratico in cui uomini e donne potessero avere gli stessi diritti che raccontava ai turisti la storia del suo paese e dei suoi eroi ed eroine (una delle altre incredibili ed affascinati storie che ci raccontò durante quel viaggio fu quella di Teodora che da danzatrice divenne una sovrana illuminata e potente).
Una città fantastica, Istanbul, un’aura mistica, aromi e profumi di spezie, ritmi di danzatrici velate ma soprattutto persone: i compagni di viaggio con alcuni dei quali ho poi costruito dei solidi rapporti d’amicizia, la tenacia e determinazione di una donna, la nostra guida, di cui ancora conservo un ricordo speciale… e soprattutto la magia di cui erano permeati quei luoghi, capace di diventare poesia non appena giunge al cuore.
Non a caso il mio romanzo, “Seconda Navigazione” si apre con questi versi:
“Il più bello dei mari
è quello che non navigammo.
Il più bello dei nostri figli
non è ancora cresciuto.
I più belli dei nostri giorni
non li abbiamo ancora vissuti.
E quello
che vorrei dirti di più bello
non te l’ho ancora detto.” (il più bello dei mari)
Che bel viaggio Donatella ! E tu sicuramente lo hai spremuto per assaporarne ogni goccia e sei riuscita anche a trattenerlo in te…
E che diire di Asude, una donna come poche, che sempre più spesso mi torna in mente, pensando a come possa essere difficile seguire la sua rotta !
Grazie Dona per avermi ricordato quei bei giorni .
Sabrina
Cara Sabrina, si è stato davvero un bel viaggio! Credo che in fondo ogni “viaggio” serva soprattutto a farci crescere e a scoprire delle parti di noi. Parti che magari ci sono sempre state, di cui però non siamo consapevoli. Quindi ci vuole tempo. Bisognerebbe dedicare sempre il tempo alla riflessione dopo qualunque “viaggio” (anche quelli in cui non si va da nessuna parte) per capire che cosa ci ha dato, cosa ci ha lasciato e cosa ha trasformato. Io ho l’abitudine di scrivere sempre nel mio taccuino emozioni e sensazioni, frasi o anche singole parole e proprio nei giorni scorsi quelle parole sono tornate fuori come se fossero pronte ad essere espresse.
Quel viaggio a Istanbul ha cambiato delle cose in me e solo ora capisco perchè ho cominciato il mio nuovo romanzo con la poesia di Nazim Hikmet, pronunciata su un autobus davanti al Bosforo e che comincia con “Il più bello dei mari è quello che non navigammo”…
C’è sempre un mare più bello da navigare e qualcosa di più bello da dire!