Islanda – la bellezza del fuoco e del ghiaccio
Mia figlia sogna di fotografare l’aurora boreale in Islanda. Perché l’Islanda? Chiedo io, che non ho mai preso in considerazione quella meta per i miei viaggi. Da buona figlia di narratrice -il sangue non mente quasi mai-, mi racconta di vichinghi che arrivarono dalla Scandinavia in quella terra disabitata e la trovarono così bella da pensare che fosse la terra degli dei. Decisero di stabilircisi e ancora oggi gli islandesi sono convinti di essere i discendenti dei vichinghi, quelli di razza più pura almeno. Un’isola di lava, con vulcani perennemente attivi, che se ne stanno quasi sempre in silenzio ma quando decidono di parlare lo fanno per farsi sentire molto lontano – come accadde nel 2010 quando il vulcano Eyjafjoll blocca il traffico aereo di tutta Europa. L’acqua scaldata dal magma scorre nel sottosuolo e poi erutta violentemente nei grandi geyser o più dolcemente in pozze e laghetti dove fare il bagno e curarsi dai mali e dal freddo. Acqua, tanta acqua ovunque. Cascate che alimentano fiumi e creano ghiacci e iceberg e scenari di incredibile suggestione. Non ha ancora visto l’Islanda, mia figlia, eppure la conosce già molto bene. Ne parla sempre. Ne parla al punto che un giorno le dico e va bene andiamoci.
Quando decido quale sarà la meta successiva del viaggio perenne che è la mia vita, inizia la fase successiva ovvero la ricerca: quando andare, cosa dobbiamo vedere per forza, con chi andare, volo, albergo, guide… eccetera. Il viaggio è già cominciato. Almeno nella testa, nel sogno…
E l’Islanda non delude. E’ il week end del 14 febbraio, una festa dell’amore che condivido con l’amore più grande, mia figlia. All’arrivo c’è un sole spettacolare, sembra primavera, dice l’autista. Lo prendiamo come un segno. Gli dei, quelli norreni che Carola ama e conosce così bene – non chiedetele mai tutta la loro genealogia potrebbe parlare per due giorni –, ci danno il benvenuto nella loro terra. Ma gli dei, lo sanno tutti, sono mutevoli e incostanti. Qualche ora più tardi a Reykjavik nevica così tanto che non vediamo le nostre mani. Ed è così bello che ringraziamo per la fortuna di vivere anche quell’esperienza. Nonostante sia una città moderna, con quel manto di neve candido, Reykjavik ha un fascino inconsueto, carico di magia. Ci concediamo il tempo di passeggiare per le vie centrali piene di negozi eleganti e ristoranti, ottimi ma non economici, fino ad arrivare alla chiesa di Hallgrímskirkja. L’opera è maestosa, mi ricorda un organo oppure un vulcano, non so. Davanti c’è una statua di Leif Erikson. Nipote dello scopritore dell’Islanda, figlio di Erik il rosso, forse arrivato per primo in America, protagonista di storie, leggende e persino una serie tv. Insomma Leif è un pezzo grosso. Forse, quella statua è un invito a sognare in grande e a non arrendersi sinché i sogni non diventano realtà, chissà. Diciamo che mi piace pensarla così. Ma è quando arriviamo sul mare che la nevicata diventa veramente forte. Davanti alla Solfar, la nave vichinga in acciaio che porta il nome di “nave del sole” o nave dei sogni – che fosse la nave di Leif?- la neve cade a fiocchi grandi come fazzoletti. Nel nostro primo giorno in Islanda, la Solfar un sogno l’ha già realizzato.
Dal giorno successivo comincia il nostro tour nel sud dell’isola. Accompagnate dalla nostra bravissima guida, Giancarlo, esploriamo quella parte “più facile” in questo periodo dell’anno. Il ghiaccio sopra la roccia lavica nera crea un contrasto estremo. La privazione di colore confonde, stordisce come se stessimo viaggiando in una dimensione parallela. E i tetti delle case sono rossi per dare un segno di realtà e riportare a casa i marinai che dovevano provare lo stesso senso di disorientamento. Ma guardando bene vedi che quei bianchi e quei neri non sono puri, privati di ogni altro colore li racchiudono tutti. Giancarlo ci fa ascoltare i compositori islandesi, visioni si aprono negli occhi, legge poesie, indirizza il sogno.
Il nostro amore, una fluttuante poesia
di perfetta mancanza di forma
in cui nessuna regola ci lega le mani
quando cercano lo spirito dei nostri corpi
in cui diventiamo uno nel desiderio di contenere ed essere contenuti
e uno diventa due nel reciproco desiderio
in cui nessuna confusa nebbia ci frena gli occhi
quando cercano i corpi del nostro spirito
in cui diventiamo uno nel reciproco desiderio
e io/tu diventa due nel desiderio di essere contenuti e contenere
in cui nessun caos distorce i pensieri dei nostri sentimenti
quando cercano i pensieri dei nostri sentimenti
in cui diventiamo noi nel desiderio di contenere ed essere contenuti
l’uno dall’altra
in cui l’amore diventa una poesia.
-Michael Strunge
Cavallini bassi e pelosi raspano la neve come galline per cercare fili smilzi d’erba. Ogni tanto un cassone pieno di fieno, lasciato dall’uomo per nutrirli. Nuvole bianche, cielo azzurro, nuvole grigie, ancora neve e ancora acqua.
La cascata di Skogafoss. Immensa caduta d’acqua in mezzo al ghiaccio e decine di turisti venuti da tutte le parti del mondo per fotografarla. Carola si piazza con la sua Nikon sul treppiede e scatta. Scatta n-scatti tendenti all’infinito. Ha gli occhi pieni di luci. I sogni che diventano realtà hanno questo potere. Sono allucinata dalla cascata o dal sogno? Sto ferma, mi guardo intorno, penso a quanto è bello questo pianeta che non riusciamo a rispettare. Non riusciamo a capire quanto siamo fortunati. Camminiamo con cautela, il ghiaccio è molto scivoloso, traditore. Un attimo e sono a terra, sul culo. Vabbè è imbottito. Mi porterò dietro un bell’ematoma nero per tutto il viaggio ma il vero tatuaggio è ben più profondo e persiste tuttora.
Sembra di essere sulla luna. Una landa desolata e nera, ricoperta da gibbosità e muschio. Un deserto di sabbia lavica e detriti, chiamato anche Sandur, che si estende per 1300 Km fino al mare. Qui si trova il parco nazionale dello Skaftafell. Ghiacciai, laghi glaciali silenziosi, iceberg che scivolano lentamente verso il mare, crepacci aperti, burroni e canyon. Tonalità azzurrine, limpide come acquamarina, riflessi di luce, rapidi guizzi di foca. Lo Jokulsarlon è pura magia. Spirito libero, zittisce tutti, persino i turisti più rumorosi. Ci sediamo sul ghiaccio a guardarlo, il tempo passa troppo in fretta. Una foca s’immerge davanti a noi. Un grande cristallo di ghiaccio si arena sulla sabbia. Lo tocco, è freddo e a anche caldo. Sarà lo stordimento causato dal bianco e dal nero, di nuovo.
Ci siamo perse tra le pieghe azzurre del ghiacciaio e il tempo a nostra disposizione è finito. Ma non possiamo perdere la spiaggia dei cristalli, Crystal Beach. Immensi diamanti grezzi se ne stanno sulla spiaggia in attesa di un’onda più grande da cavalcare per allontanarsi verso l’oceano. Come tanti marinai attendono la loro nave, quella dei sogni, quella che saprà portarli via. Mi immagino il loro viaggio, chissà dove li porterà la corrente, quali terre, quali genti vedranno o, forse, moriranno subito disciolti dal sole.
Lo Vatnajokull è immenso, grande quanto l’Umbria ci dicono, e include lo Skaftafell. Il sole è già basso e accende le montagne intorno. La strada, forse un paio di chilometri, si percorre a piedi a passo veloce, per scaldarsi ma anche per la voglia di arrivare a quel ghiaccio azzurro che si vede da lontano. Intorno muschio, piante basse, il nulla. Continuiamo a parlare a voce bassa per non disturbare la natura. Non ci sono animali, tranne noi. Vicino alle pozze d’acqua, la sabbia è diventata fango colloso che si attacca agli scarponi. Al lago molti si fermano. Alcuni turisti cercano di spezzare le lastre che lo ricoprono. Si senta cra cra, ma non sono rane. Proseguiamo fino in fondo, ormai sole, fino al ghiacciaio. Dall’alto è bellissimo. Il sole ha colorato di una tonalità calda le montagne, l’azzurro del ghiaccio contrasta dolcemente. Sembra che a quest’ora anche gli estremi si pacifichino e trovino un compromesso.
I padroni di questa terra non sono solo il fuoco e il ghiaccio, lo è anche il vento. Soffia, scompiglia, parapiglia, si diverte a dare il suo contributo. Non pensate di dimenticarvi di me, sembra voler dire. Spiazza da quanto spinge. Ti trascinerebbe in mare per farti mangiare dalle onde che ha generato. Giancarlo, si raccomanda, fate attenzione, non fidatevi.
La Nikon di Carola vola insieme al suo treppiede. La recupera prima che sia tardi. Si dispera dopo, per quello che poteva accadere alla sua piccola camera. Manie da fotografi in erba. Rimette tutto nello zaino, viene a cercarmi. Mi ero allontanata seguendo la neve portata dal vento. Rido al suo racconto. Ci sediamo sulla sabbia abbracciate. Il vento non ci sposta. L’amore è difficile da abbattere.
Ogni sera speriamo di vedere i guizzi dell’aurora boreale nel cielo. Siamo state al museo dell’aurora e, ormai sappiamo tutto su di lei. Generata da particelle che staccandosi dal sole fluiscono verso la terra e sono respinte dal campo magnetico terrestre. La magnetosfera protegge la terra dal vento solare ma riesce a fare poco intorno ai poli e qui le particelle entrano, si scontrano con quelle presenti nell’atmosfera e generano potenti correnti elettriche che vediamo come nastri verdi o violetti che danzano davanti ai nostri occhi. E’ l’aurora boreale. Ma vederla non è così facile. Occorre l’attività solare, quella giusta, niente nuvole, aria limpida, buio assoluto. Insomma, trovare tutte queste condizioni insieme è una bella fortuna. Comunque dopo la spiegazione scientifica, c’è quella del desiderio. E in noi, il desiderio era diventato un richiamo molto forte. La penultima notte, quando ormai sembrava che tutte quelle condizioni non si sarebbero allineate nel cielo del nostro oroscopo, sentiamo un battere discreto alla porta e una parola “aurora”. Carola la sente subito, io no – in vecchiaia l’udito peggiora. Le dico che forse il desiderio sta diventando ossessione, ma lei niente si riveste dei cinque strati che ci portiamo addosso ed esce con la sua attrezzatura fotografica sottobraccio. Quando la raggiungo è già persa dentro la danza di quei nastri verdi nel cielo sopra la nostra testa. Ci piacerebbe ballare, ma lo stupore è più forte, paralizza. Ah la bellezza, quanta bellezza stasera nel cielo…
Ho scritto tanto e mi rendo conto che ci sarebbe ancora tanto da raccontare… ma forse l’unica cosa che andrebbe davvero detta è che la bellezza va guardata con gli occhi ma soprattutto col cuore.
Ah quasi dimenticavo, tornerò in Islanda d’estate, Giancarlo (per la cronaca Giancarlo Pagliero, guida e scrittore) mi ha fatto sognare i campi blu di lupini e il mio cuore è già in viaggio verso di loro.
Grandissima Dona, nel leggere le tue parole ho rivissuto le emozioni che quella terra ci lascia nel cuore, si parla tanto di mal d’Africa ma anche l’Islanda ha una magia !!
Hai ragione Lory, dell’Islanda ci s’innamora e poi non si può più farne a meno. Grazie a te