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Io e il mare

NautilusDa bambina ero affascinata dal Nautilus. Nella mia enciclopedia c’erano parecchie pagine che riportavano foto di conchiglie del Nautilus. Conchiglie di Nautilus intere, bianche con le striature rossicce (tipo tigre per intenderci), conchiglie di Nautilus a metà, conchiglie di Nautilus ricoperte d’argento. Per molti anni credo di essere stata convinta che la conchiglia di Nautilus nascesse così, cioè fosse una cosa e non il prodotto di un animale. Poi sono stata, come tutti i bambini del mondo, innamorata del Capitano Nemo e del suo Nautilus. Quante belle fantastiche avventure e si chiamava pure come la conchiglia che mi affascinava tanto. All’epoca avevamo una televisione in cucina che era di controllo genitoriale: telegiornale, prima compiti e poi cartoni, film serale o spettacolo di varietà e quiz. Con la televisione commerciale arrivarono i documentari sui luoghi, popoli e animali. Quelli sul mare erano i più incredibili ed affascinanti, almeno per me. Ed un giorno chi ti vedo? Il Nautilus. Ma non solo la conchiglia, tutto l’animale. Sono passati parecchi anni e non ricordo bene cosa accadde a quel Nautilus, ma so di certo di aver approfondito la sua conoscenza in seguito ed ancora oggi rimane uno degli animali che cattura la mia fantasia: : antica quanto i dinosauri, la sua conchiglia a forma di spirale segue la successione numerica di Fibonacci ed è legata al numero aureo (già proprio lui, ne avete già sentito parlare per le più grandi opere di architettura, per le opere d’arte e sembra persino che sia il motivo per cui troviamo bello qualcosa universalmente), è costituita da camere separate da setti ma collegate tra loro da un piccolo foro che consente all’animale di aumentare o diminuire la quantità di gas all’interno così da modificare il suo assetto nel mare.

Ovviamente Giulio Verne aveva pensato a questo quando ha chiamato Nautilus il sottomarino del Capitano Nemo. Ma anche il primo vero sottomarino funzionante si chiamava Nautilus. Anche i subacquei hanno “copiato” dal Nautilus, infatti il GAV (o giubetto ad assetto variabile) altro non è che un’imitazione della conchiglia del Nautilus.

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Se da un lato ero affascinata da queste mie “scoperte” scientifiche che mi rendevano molto noiosa agli occhi dei miei due fratelli piccoli e soprattutto dei miei compagni di classe, dall’altro il mare incantava la mia anima che in esso si specchiava diventando poesia. Il mare mi catturava e passavo ore ad osservarlo per cercare di catturare l’essenza. Non la sua, non fraintendetemi, ma la mia. Mi sarebbe piaciuto avere una conchiglia come quella del Nautilus per scendere nelle mie “profondità” e tirare fuori tutto ciò che mi opprimeva e, vi assicuro, che all’epoca era parecchio. Ero angosciata da tutti i grandi temi della vita, della filosofia, della religione e della politica. Più complicata di così?

Il mare era per me angoscia, barriera, limite, confine, prigione ma senza il mare mi sentivo come l’albatro, goffa e vergognosa. Davanti al mare mi sentivo incantata come chi è vittima di una pozione d’amore e angosciata come chi si sente imprigionata da essa.

Se dovessi contare quante ore della mia vita ho passato a scrutare il mare, senza annoiarmi mai, avrei potuto costruire un grattacielo (altro che tela di penelope), ma anche quante volte l’ho maledetto perché mi separava da qualcosa, intendo qualcosa di generico non meglio specificato.

Quando, molti anni fa, cominciai a lavorare nel turismo, ebbi un primo impiego nella reception di un albergo di montagna. Fu un’estate dolorosa. Lontana dal mare, non riuscivo a trovare consolazione nei bellissimi e malinconici paesaggi delle Dolomiti, non mi venivano nemmeno le poesie e i dubbi amletici, così l’anno successivo quando quella società mi richiamò per un’altra stagione, misi la condizione di lavorare sul mare. E così è stato per molti anni a venire, avrei lavorato vicino al mare, sul mare e dentro il mare.

Pochi anni più tardi il mare mi ha attratto fin sotto la sua superficie. Avevo talmente voglia di vedere cosa nascondeva “dentro” che ho cominciato ad andare sott’acqua. Ricordo ancora la prima immersione nel blu. Il silenzio che avvolgeva tutto tranne il respiro, la consapevolezza di essere viva, di esistere. Intorno c’erano nuvole di pesciolini blu elettrico, baby castagnole, erano ovunque. Montagne subacquee di granito nero e poi la musica, un composizione mista tra i suoni del mare e quelli che io creavo con le bolle che fuoriuscivano dal mio erogatore.

Potete già immaginare che sono diventata istruttrice dopo pochissimi anni e ho continuato a farmi domande, a leggere e studiare ed anche a sembrare molto noiosa a qualcuno come accadeva con i miei compagni delle elementari. Però ora so che il mare per me è qualcosa di più della semplice acqua di cui è composto… qualcosa di molto di più!

Insomma avrete capito che in me dimorano anime molto diverse tra loro. Ma in fondo non siamo tutti così? Un intrico di contraddizione contenute in un guscio di conchiglia (il nostro corpo), talmente aggrovigliate che nemmeno noi riusciamo a sbrogliare la matassa… figuriamoci gli altri!

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