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Il giardino incantato

Ho dovuto aspettare un po’ prima di scrivere sulla prima presentazione in pubblico del mio romanzo “Seconda navigazione”. Un po’ per caso, un po’ per scelta (poca scelta per la verità), la prima presentazione è avvenuta a Cagliari. Strano pensare che la navigazione del mio libro sia iniziato proprio dal luogo in cui io sono partita per “navigare” la mia vita.

Puoi immaginare quanta emozione quel giorno!? Mi sono trovata a parlare dei temi del senso della vita, della morte, dell’amore trattate nel romanzo a persone che mi avevano sentito parlare delle stesse cose a vent’anni, quando tutto sembra lì a portata di mano, pronto perché tu lo colga e poi invece non è così semplice. A pensarci adesso a distanza di due settimane mi si chiude ancora la gola. Quando ho scritto questo libro, mai avrei potuto pensare che i primi a cui ne avrei parlato sarebbero stati proprio loro.

Se fare la presentazione a Cagliari non era abbastanza emozionante, il giorno successivo ho avuto la fortuna di poter fare la stessa cosa a Villacidro, il paese della mia infanzia, quello dove ho i ricordi più belli perché legati ai miei nonni, ai miei cugini e primi compagni di giochi.

Non torno spesso nella mia terra natia, non perché non vorrei, ma perché gli impegni, le scelte lavorative, il mio continuo viaggiare di ricerca mi porta spesso in luoghi lontani fisici e metafisici ed allora rimane poco tempo per ritornare… Credo poi che certe volte si eviti di ritornare in luoghi i cui i ricordi sono legati a momenti determinanti della vita o a emozioni molto forti.

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Diluviava quando ho cominciato a parlare dei miei personaggi a Villacidro. La pioggia cadeva forte e si mischiava alle note del pianoforte creando una nuova melodia. Sembrava novembre anziché maggio, come se anche nella realtà come accade nel mio libro, quando c’è una situazione di instabilità umana anche il clima si ribalti e si proponga con manifestazioni inattese e inusuali, quasi per farti capire che non si tratta della solita routine, di un giorno come gli altri. La prima lettura, in effetti, che avviene con il sottofondo della bellissima Floating di Cacciapaglia, l’ho un po’ “sbagliata”. Sbagliato il tono, sbagliate le pause… ma l’emozione era davvero tanta! Poi ho raccontato del giardino incantato, quello di mia nonna in cui mi rifugiavo da bambina ogni volta che qualcosa non andava e come per magia mi sono calmata. In effetti quel giardino è quello che uso ogni volta che ho bisogno di trovare un luogo sereno nella mia mente per affrontare una situazione difficile o semplicemente per rilassarmi.

Voglio dire grazie a tutti coloro che hanno reso possibile questa bellissima esperienza e vorrei farlo pubblicando per la prima volta l’inizio di un’altra storia che scrissi tempo fa e che poi decisi di tenere per me. Queste prime pagine le ho scritte pensando a Villacidro, al giardino di mia nonna ed alla strada che si doveva percorrere per arrivarci…

Il giardino incantato

C’era una volta…

Le storie dovrebbero sempre cominciare così, ma non sempre succede!

Questa storia, però, comincia proprio così.

C’era una volta un giardino segreto, cinto da alte mura in pietra, in un paese assolato. Dall’esterno non si vedeva il giardino e nemmeno la casa che c’era dentro. Spuntava solo qualche rampicante più ostinato e coraggioso: una rossa bignonia ed un gelsomino profumato. Questi fuggivano via cercando il sole, non volevano saperne in nessun modo di restare segregati dentro. Il profumo del gelsomino inebriava i passanti e la bignonia fioriva a profusione per tutta l’estate attirando insetti ronzanti che non avevano pace e creavano una melodia che solo un orecchio allenato poteva apprezzare. Era stato un errore piantarli così vicini, quei due rampicanti vigorosi, ora le loro radici si erano unite in un unico abbraccio creando una pianta forte e resistente, che non poteva essere controllata con le continue potature che venivano effettuate.
Dalla strada in ghiaia passavano poche persone dirette verso la montagna. Un tempo era stata una strada di gran collegamento, l’unica che portasse alla pineta, fonte importante di legna e di pinoli per i dolci. Ogni tanto qualcuno si fermava a chiedere da bere prima di proseguire la sua strada e così era stato costruito un pozzo e, per agevolare il viandante, era stato lasciato un vecchio secchio per raccogliere l’acqua. Era legato con una catena, così ci sarebbe sempre stato per chi fosse venuto dopo. L’acqua era fresca e sapeva di mentuccia, o forse era solo l’intenso profumo delle piante che crescevano lì intorno insieme ai rosmarini e ad un sambuco a crearne quel sapore così speciale. In estate vi crescevano le ipomee blu. Quelle leggiadre campane colorate fiorivano la mattina presto dando un allegro “buongiorno” a chiunque avesse voglia di ascoltare.
Sulle pietre dei muri crescevano piantine dai piccoli fiori lilla e dalla forma di bocca di leone. Le carnose foglioline a forma di fiore ricoprivano tutto creando dei folti cuscini verdi. Se scomparivano all’arrivo dei primi freddi, poi non tardavano a ricomparire con i tepori della primavera. Ogni tanto qua e là spuntava una piantina di margheritina dei muri e sul lato più soleggiato crescevano i capperi, che sarebbero finiti sotto sale.
Il cancello per accedervi non era di grandi pretese. In ferro battuto, alto quanto il muro, non aveva i decori costosi, tipici delle case dei ricchi. Era semplice, adatto al suo ruolo di difendere e proteggere. Sul retro c’era anche un piccolo cancellino “di servizio” che portava a quello che un tempo era l’orto, ma ormai una rosa banksia l’aveva completamente ricoperto, rendendone impossibile l’apertura. A maggio era la prima rosa a fiorire con una profusione di piccolissime roselline gialle.

Era passato molto tempo da quando i bambini avevano utilizzato il cancellino per andare a giocare in strada o nella pineta… Un tempo era una casa piena e ci viveva una grande famiglia!

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