A un anno dal virus
Un anno fa gli eventi generati da un virus piccolissimo e sconosciuto, che avremmo imparato a chiamare Covid-19, stavano precipitando: il 21 febbraio ci furono i primi focolai a Codogno e Vo’, che il 22 vennero dichiarate zona rossa, il 23 furono chiuse le scuole in Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia-Romagna e Friuli Venezia Giulia. Il 9 marzo sarebbe stato imposto il lockdown nazionale. Molti di noi neppure avevano mai sentito quella parola e non avevano vissuto limitazioni alla libertà, confinamento o coprifuoco. Quelli che li avevano sperimentati durante la guerra o ne avevano sentito raccontare con sgomento dai loro genitori, sono stati le prime vittime. Nel mondo, in un anno, sarebbero morte 2,5 milioni di persone e 111 milioni sarebbero risultate positive con sintomi o completamente asintomatiche.
In quei primi giorni cominciammo a capire l’eccezionalità di quanto stava per travolgerci. Solo più tardi, però, ne avremmo compreso la gravità. Eravamo tutti attoniti. Vagavamo sulla rete e in TV in cerca di informazioni che potessero farci capire, almeno un po’, cosa avesse stravolto le nostre vite e perché ci fosse arrivato addosso così. Per un caso sfortunato, dopo la Cina, l’Italia è stato il primo Paese più tragicamente protagonista. Ma allora ancora non sapevamo che sarebbe stato l’inizio di un anno sventurato in cui ciascun essere umano avrebbe dovuto confrontarsi con difficoltà impensabili e, in molti casi, con conseguenze che perdureranno nel tempo.
Molti avrebbero sperimentato la perdita, di persone care, di sicurezza, del lavoro, di socialità. La paura avrebbe cominciato a serpeggiare a tutti i livelli conquistandosi uno spazio sempre più grande e mortificando le relazioni umane a cui eravamo abituati. Cose che pensavamo scontate e indiscutibili sarebbero diventate preziose e rare: un abbraccio, un viaggio, un concerto, una cena con gli amici…
I fronti si sono rapidamente spaccati: negli ospedali la malattia e la morte da combattere, nei laboratori di tutto il mondo un vaccino e una cura da trovare, nella strada la paura dell’altro, l’indignazione, la necessità di trovare risposte introvabili. A salvare l’economia avrebbero dovuto pensare i Governi; ma questo è un altro discorso, il più difficile e complicato, pieno di insidie e viscido come un’anguilla.
È passato un anno. Con molti amici e colleghi ho condiviso preoccupazioni e ansia. Il bisogno di viaggiare e sperimentare il mondo nelle sue sfaccettature, che è stato il leit motif della mia vita, il mio modo di comprendere e imparare, è stato discriminato, tacciato di seminare il virus, diventato pericoloso. E tutte le persone che, come me, hanno fatto dei viaggi e del turismo il loro mestiere sono stati dimenticati, diventati inutili all’improvviso. Non siamo soli, certo, sono tanti i settori in questa stessa condizione. Tanti, decine di migliaia di persone… centinaia di migliaia di persone, milioni di persone nel mondo, uomini e donne, nomi e cognomi.
E ancora un futuro post-pandemico sembra lontano e incerto. Scomparsi i punti fermi che avevamo così faticosamente costruito, vaghiamo alla deriva, sospinti da una corrente di cui non conosciamo entità e portata.
Eppure sono — e siamo — ancora qui e, con l’ostinazione e il sacrificio, che da sempre contraddistingue la nostra Italia, sono certa che ricostruiremo e saremo capaci di creare cose ancora più belle. L’uomo ha fatto molta strada, da Lucy è arrivato fin sulla luna, ha scoperto le leggi che regolano l’universo e particelle piccolissime che fanno cose straordinarie. L’augurio che dovremmo farci e di uscire da questo tunnel più consapevoli, più inclini a proteggere la natura del nostro pianeta, più accoglienti verso la diversità, più curiosi verso la scienza. Insomma, facciamoci domande e troviamo risposte attendibili, anche se di questi tempi non è cosa semplice. E diventiamo più coscienti della nostra natura transitoria ed effimera ma, forse, questo l’uomo non riuscirà mai ad accettarlo veramente.
Grandi riflessioni di momenti che stiamo vivendo insieme