L’11 settembre ero in volo!
L’11 settembre del 2001 ero in volo. Un viaggio internazionale di nove ore che mi riportava dalle Maldive all’Italia. Un viaggio eccezionale, non per la sua unicità visto che era l’ennesimo viaggio di ritorno che seguiva altrettanti viaggi di andata per quella destinazione di lavoro. La sua eccezionalità consisteva nel fatto che per la prima volta avevo mia figlia con me. Aveva quattro mesi, la pelle rosata, il profumo di bambino che non so perché si perde troppo presto nel crescere, e dei grandi occhi blu.
Dormiva su di me su quella poltrona scomoda, e mi teneva con le sue manine. Fuori dal finestrino era buio, c’era tutta l’immensità del cosmo là fuori. Tutta la bellezza della vita…
Il suo viso addormentato contro la mia spalla, mi faceva pensare che avrei potuto sempre proteggerla. Proteggere la gioia contro il dolore, proteggere la speranza contro la resa. ENon è forse questo il desiderio di ogni madre che stringe à sé il proprio bambino: proteggerlo ed assicurargli una vita priva di dolore?
Nell’immensità di un cielo stellato, visto da un finestrino di un grosso aeromobile pieno di gente sconosciuta, il senso di solitudine è più forte che mai e la solitudine fa sempre un po’ paura. Siamo soli nella società in cui viviamo, siamo soli nelle nostre ansie e nelle nostre paure, siamo soli tra la gente. Lo stesso bambino, una volta reciso il cordone ombelicale sa che sarà solo. La fortuna di lasciare una traccia, seppur flebile dentro un altro essere umano, fa sentire il genitore meno solo e più potente. C’è una forza non indifferente nella madre che deve partorire, allattare, insegnare e c’è altrettanta potenza in un padre che deve proteggere, custodire e farsi carico di procurare i beni di prima necessità. Forse è per questo desiderio di potenza che si fanno i figli!?
Io tornavo in Italia perché mia figlia potesse essere vaccinata. Per costruire, con un gesto medico, un piccolo pezzo di futuro. Per ottemperare alle mie responsabilità di genitore che si prende cura del neonato. Credo che la mia felicità di neo-mamma fosse palpabile ed attirasse le simpatie dell’equipaggio e degli altri passeggeri (anche perché Carola non aveva pianto per un solo secondo, preferendo stare appiccicata a me o al mio seno).
In quello stato di umana divinità arrivò la notizia del crollo delle torri gemelle. Seguita da un silenzio surreale. Fu come se un boato fragoroso spezzasse il respiro. In una sorta di trance di dolore credo di aver stretto più forte mia figlia e cercato inconsciamente un luogo di fuga (solo mentale purtroppo) in cui tutto va nel verso giusto e non ci sono uccisioni, guerre e violenze. Da allora quella sensazione torna ancora ogni tanto e mi sembra che sia lì, una cosa fisica che si può quasi toccare. In quei momenti rivivo l’ansia di chi non può proteggere e la consapevolezza che si è sempre e comunque soli ad affrontare le difficoltà della vita.
La compassione per chi è morto quel giorno e per quelli, che rimasti, si sono portati dentro per sempre quel distacco violento, l’ho potuta rivivere l’anno scorso. In visita a Ground Zero, proprio con mia figlia, abbiamo rivolto un pensiero a quelle persone, abbiamo discusso di quelle ragioni umane che portano a certi risultati, sempre che ragioni si possano chiamare e in profonda umiltà ci siamo dette che siamo molto fortunate.
Ti voglio bene figlio (scritta il 12 settembre 2001)
In volo si vedono le nuvole.
E’ immenso là sotto.
Un bambino piange.
Cerca gli occhi di sua madre.
Fumo, fragore, grida… più niente.
Solo il dolore di chi non può spiegare e
il dolore di chi non può capire
quale ragione possa esserci nel far morire.