“L’Homo sapiens è una scimmia che si è messa in viaggio. Non per fuggire, ma per cercare.”
— Yuval Noah Harari
La prima volta che ho attraversato un oceano avevo diciassette anni. Partivo dalla Sardegna, direzione Australia, con una borsa di studio e un bagaglio di domande più grande della mia valigia. Credevo di aver già capito tante cose della vita, ma mi sono ritrovata a dover ricominciare da zero: una lingua che non padroneggiavo, regole sociali diverse, lo spaesamento delle differenze culturali, la paura di non farcela, l’assenza di amici o punti fermi. Ogni giorno era un esercizio di adattamento, e non sempre riuscivo a sentirmi all’altezza.
Poi sono arrivati gli incontri: il mio insegnante di inglese, che mi ha parlato per la prima volta del potere che le parole hanno sul nostro cervello, e compagne e compagni di scuola che mi hanno insegnato nuovi modi di guardare al mondo. I paesaggi sconfinati, la fauna unica, il silenzio delle distese naturali e il confronto con culture diverse hanno allargato il mio sguardo. Ho capito che i luoghi — quelli in cui nasci, quelli che attraversi, quelli in cui scegli di restare — plasmano il tuo modo di pensare e le parole con cui ti racconti. E queste parole, a loro volta, guidano le tue azioni, le relazioni che costruisci, perfino le scelte di lavoro.
Da allora so che il viaggio fisico e il viaggio interiore sono inseparabili: se uno manca, l’altro resta incompiuto. Spostarsi senza trasformarsi è solo turismo; trasformarsi senza incontrare il mondo è un pensiero che non prende corpo.
Viaggiare ha reso la Terra più piccola e la nostra mente più ampia. È una responsabilità: oggi i fenomeni di overtourism, estrazione senza restituzione, sfruttamento delle risorse e fraintendimenti culturali sono sotto gli occhi di tutti. Non possiamo attraversare il mondo senza lasciare tracce buone. Viaggiare chiede di dare voce all’incontro, lasciarsi contaminare dalla diversità, imparare e — quando serve — insegnare. È anche una strategia: gli orizzonti nuovi portano idee nuove, modelli diversi, prospettive utili a differenziarci nel lavoro e nell’impresa.
Forse non è un caso se la parola “viaggio” deriva dal latino viaticum. Era la provvista per il cammino, l’essenziale per affrontare il tragitto. Ma viaticum indicava anche l’offerta che si dava a chi partiva o a chi si preparava all’ultimo grande passaggio. Fin dalle origini, quindi, il viaggio porta in sé l’idea di preparazione, di soglia e di trasformazione: si parte con ciò che serve davvero, e si torna con qualcosa in più da offrire.
Due viaggi, una trama
In questa rubrica metteremo sullo stesso piano i due itinerari: quello dei luoghi e quello dell’anima. Racconteremo attraversamenti reali e simbolici, imprese e paesaggi, spaesamenti e nuove mappe. Il viaggio dell’eroina non è sempre rumoroso: spesso è fatto di passi interiori. E il viaggio di Penelope, fatto di attese attive e scelte coraggiose, non vale meno di quello di Ulisse. Ma non dipende dal genere dei protagonisti bensì dal modo in cui si sceglie di vivere la vita. L’obiettivo è duplice: coltivare responsabilità e generare idee. Perché da un incontro può nascere un concetto, da un limite una soluzione, da un’esperienza una rotta diversa.
Una rubrica per chi è in cammino
Parleremo di luoghi e imprese, di etica del muoversi, di incontri che cambiano la direzione, di modelli che nascono guardando altrove e poi ritornano a casa come innovazioni sostenibili. Ogni volta, due domande guida: cosa ho imparatoe cosa posso restituire.
Qui ci sarà anche spazio per proposte, di viaggi e ritiri autobiografici che sto preparando.
Scrivere per trasformarsi — esercizi riservati alle iscritte alla newsletter
Ogni articolo proporrà domande ed esercizi di scrittura autobiografica riservati alle iscritte alla newsletter: piccole tracce da portare con sé, da fare in aeroporto, davanti a una foto, o dopo un rientro. Strumenti per imparare a raccontare i luoghi, per orientarsi, ricordare, riallineare il proprio nord e trasformare un viaggio in conoscenza utile, anche per il lavoro.
“Ho imparato che il mondo non va conquistato, ma attraversato.”
— Carla Perrotti